L’eruzione di Tonga ha iniettato 50 milioni di tonnellate di vapore acqueo nell’atmosfera: i rischi
Il 15 gennaio di quest'anno si è verificato un evento naturale di portata catastrofica, per potenza sprigionata ed effetti avvertiti a livello globale. L'esplosione del vulcano sottomarino Hunga Tonga-Hunga Haʻapai nel Regno di Tonga, infatti, non solo ha cancellato dalle cartine geografiche l'omonima isola (disabitata, fortunatamente), ma ha scatenato un'energia paragonabile a quella di 500 bombe atomiche su Hiroshima. Ciò l'ha resa l'eruzione più violenta del secolo. È stata talmente potente che l'onda di pressione scaturita è riuscita a fare il giro della Terra due volte, inoltre sono state generate onde gravitazionali atmosferiche rilevate sin nello spazio. L'esplosione repentina, mostrata da video satellitari impressionanti, ha scatenato onde alte 15 metri – responsabili della morte di diverse persone su isole distanti – e un pennacchio di ceneri, gas vulcanici e vapore acqueo arrivato a oltre 30 chilometri di altezza a 24 ore dall'evento. Le conseguenze di questa esplosione apocalittica sono ancora al vaglio degli esperti; uno studio appena pubblicato, ad esempio, ha determinato che a causa dell'eruzione sono stati riversati nell'atmosfera 50 milioni di tonnellate di vapore acqueo, una concentrazione tale da poter alimentare il riscaldamento globale del pianeta, già catalizzato dalle emissioni di gas a effetto serra legate alle attività umane.
A calcolare l'enorme quantitativo di vapore acqueo espulso dall'eruzione del vulcano sottomarino Hunga Tonga-Hunga Haʻapai e i potenziali effetti sul clima è stato un team di ricerca internazionale guidato dallo scienziato Holger Vomel del Centro nazionale per la ricerca sull'atmosfera di Boulder (Stati Uniti), che ha collaborato a stretto contatto con la collega Stefania Evan del LACy (LACy, Laboratory of Atmosphere and Cyclones) dell'Università di Reunion (Francia) e col dottor Matt Tulli del Bureau of Meteorology di Melbourne (Australia). I ricercatori hanno misurato il quantitativo di vapore acqueo iniettato nella stratosfera grazie a un meticoloso lavoro sul campo, avvalendosi di radiosonde su palloni meteorologici. Secondo gli scienziati questi rari eventi sono in grado di alterare per diversi anni e in modo significativo la chimica e la dinamica dell'alta atmosfera; la situazione potrebbe essere stata complicata per il coinvolgimento di un vulcano sottomarino. “Poiché il vulcano era sott'acqua, la quantità di vapore acqueo nel pennacchio stratosferico in via di sviluppo era elevata e, a differenza di altre grandi eruzioni, potrebbe aver aumentato la quantità di vapore acqueo stratosferico globale di oltre il 5 percento”, hanno scritto Vomel e colleghi nell'abstract dello studio.
Un aumento complessivo dell'umidità nella stratosfera di questa portata, secondo gli studiosi, potrebbe innescare il raffreddamento stratosferico e un conseguente riscaldamento della superficie. Il vapore acqueo atmosferico, infatti, assorbe la radiazione solare e la rilascia sotto forma di calore; ricordiamo che la stratosfera, il secondo strato dell'atmosfera terrestre, inizia da 20 chilometri chilometri di quota all'equatore (circa 6 – 8 ai poli) e finisce a 50 chilometri, dove inizia la troposfera. Con 50 milioni di tonnellate di vapore acqueo in più nella stratosfera la superficie del nostro pianeta è destinata a riscaldarsi nei prossimi mesi, ma gli scienziati non sanno quale sarà l'aumento della temperatura. Grandi eruzioni nel passato avevano determinato un abbassamento della temperatura superficiale – l'eruzione del Pinatubo la fece scendere di 0,5° C per circa un anno – a causa delle sostanze emesse nell'atmosfera, ma in questo caso, essendo il vapore acqueo il composto principale emesso, si determinerà il fenomeno opposto. I dettagli della ricerca “Water vapor injection into the stratosphere by Hunga Tonga-Hunga Ha’apai” sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica Science.