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Le più forti prove di vita aliena trovate sul pianeta K2-18b: possibile scoperta epocale

Grazie al Telescopio Spaziale James Webb gli scienziati hanno scoperto le più forti prove di vita aliena su un pianeta al di fuori del Sistema solare. Si tratta di K2-18b, un mondo oceanico a 124 anni luce in cui sono stati rilevati composti che sulla Terra sono prodotti solo ed esclusivamente da esseri viventi.
A cura di Andrea Centini
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Illustrazione dell'esopianeta K2-18b. Credit: A. Smith, N. Madhusudhan (University of Cambridge)
Illustrazione dell'esopianeta K2-18b. Credit: A. Smith, N. Madhusudhan (University of Cambridge)

Su un pianeta extrasolare chiamato K2-18b sono state trovate quelle che ad oggi sono ritenute le più forti prove di vita al di fuori del Sistema solare. In altri termini, potremmo aver fatto l'epocale scoperta dell'esistenza degli alieni. Non necessariamente intesi come creature senzienti e civilizzate, alla stregua degli omini verdi della fantascienza vintage, ma come esseri viventi di una indefinita entità. Gli scienziati hanno infatti rilevato nell'atmosfera del corpo celeste dei composti chimici che sulla Terra sono classificati come biofirme, ovvero firme biologiche. Ciò significa che vengono prodotti solo ed esclusivamente da esseri viventi. Più nello specifico, i ricercatori hanno identificato livelli significativi di dimetil solfuro (DMS) e/o di dimetil disolfuro (DMDS), composti solforati organici che vengono prodotti principalmente dal fitoplancton (le minuscole alghe cui dobbiamo la stragrande maggioranza dell'ossigeno che respiriamo) ma anche da batteri e funghi durante i processi di decomposizione.

K2-18b è un cosiddetto mondo “iceano”, cioè un pianeta nella zona abitabile della sua stella avvolto da un immenso oceano e con un'atmosfera ricca di idrogeno, nel quale la vita potrebbe prosperare ed essere addirittura civilizzata. Non deve stupirci più di tanto che creature marine possano evolversi a tal punto da fondare una civiltà tecnologica, tenendo presente che secondo un recente studio i polpi avrebbero tutte le carte in regola per dominare la Terra dopo la scomparsa dell'umanità (qualora dovesse verificarsi per qualche ragione). Chiaramente non si può escludere che l'esopianeta brulichi di semplici alghe, microrganismi o magari “giganti” non senzienti. E ancora, non si può nemmeno tenere fuori dal novero delle possibilità il fatto che su K2-18b possa esservi un processo abiologico e geofisico in grado di produrre dimetil solfuro e dimetil disolfuro. Ad oggi siamo comunque innanzi a una scoperta potenzialmente rivoluzionaria in grado di suggerirci una risposta alla fatidica domanda se effettivamente siamo soli nell'Universo, un'ipotesi ampiamente scartata dalla comunità scientifica, visti i miliardi di pianeti potenzialmente abitabili che orbitano nello spazio profondo. Basti pensare che secondo uno studio dell'Università di Cambridge solo nella Via Lattea – la nostra Galassia – ci sarebbero almeno 36 civiltà aliene.

Illustrazione dell'esopianeta K2-18b. Credit: ESA/Hubble
Illustrazione dell'esopianeta K2-18b. Credit: ESA/Hubble

A determinare la presenza delle due firme biologiche terrestri nell'atmosfera dell'esopianeta K2-18b è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati dell'Istituto di Astronomia dell'Università di Cambridge. I ricercatori, coordinati dal professor Nikku Madhusudhan, hanno rilevato dimetil solfuro e/o dimetil disolfuro grazie allo strumento MIRI installato sul potente e costosissimo Telescopio Spaziale James Webb, lanciato nello spazio a Natale del 2021. Questo strumento opera nel medio infrarosso. Gli stessi composti erano stati rilevati da indagini precedenti condotte con gli strumenti NIRISS (Near-Infrared Imager and Slitless Spectrograph) e NIRSpec (Near-Infrared Spectrograph) che operano nel vicino infrarosso. Siamo dunque innanzi a una prova incrociata della presenza di queste sostanze, rilevata attraverso l'analisi degli spettri stellari (in parole semplici, l'atmosfera del pianeta assorbe la luce della stella e dalla sua analisi è possibile rilevare i composti chimici presenti).

Lo spettro con la firma dei composti organici sull'esopianeta K2-18b. Credit: A. Smith, N. Madhusudhan (University of Cambridge)
Lo spettro con la firma dei composti organici sull'esopianeta K2-18b. Credit: A. Smith, N. Madhusudhan (University of Cambridge)

Come spiegato dagli autori dello studio in un comunicato stampa, le osservazioni condotte sino ad oggi “hanno raggiunto il livello di significatività statistica ‘tre sigma', ovvero la probabilità che siano avvenute per caso è dello 0,3 percento”. “Per raggiungere la classificazione accettata per la scoperta scientifica – proseguono gli esperti – le osservazioni dovrebbero superare la soglia di cinque sigma, ovvero la probabilità che siano avvenute per caso è inferiore allo 0,00006 percento”. Potrebbero essere sufficienti altre 16-24 ore di osservazioni col James Webb per avere questa storica conferma. Va sottolineato che le concentrazioni di questi composti sull'esopianeta K2-18b sono migliaia di volte superiori a quelle presenti sulla Terra, quindi è possibile immaginare che l'oceano che avvolge il mondo alieno possa essere ricchissimo di vita, di chissà quali forme.

“Questa è la prova più forte finora che ci sia vita là fuori. Posso realisticamente affermare che potremo confermare questo segnale entro uno o due anni”, ha dichiarato alla BBC il professor Madhusudhan. Il fatto che le biofirme siano state rilevate con strumenti diversi aumenta la fiducia dei ricercatori sulla scoperta potenzialmente epocale. “Il segnale è arrivato forte e chiaro. Precedenti studi teorici avevano previsto che alti livelli di gas solforosi come DMS e DMDS fossero possibili sui pianeti Iceani. E ora li abbiamo osservati, in linea con quanto previsto. Considerando tutto ciò che sappiamo di questo pianeta, un mondo Iceano con un oceano brulicante di vita è lo scenario che meglio si adatta ai dati in nostro possesso”, ha chiosato lo scienziato. “È stata una realizzazione incredibile vedere i risultati emergere e rimanere coerenti nonostante le ampie analisi indipendenti e i test di robustezza”, gli ha fatto eco il dottor Måns Holmberg dello Space Telescope Science Institute di Baltimora (Stati Uniti). Chiaramente è ancora troppo presto per giungere a conclusioni definitive; anche gli autori dello studio restano cauti sui risultati ottenuti, in attesa delle indagini di follow-up.

K2-18b si trova a 124 anni luce da noi ed è incastonato nella costellazione del Leone, ha un diametro circa 2,6 volte quello della Terra, mentre la massa supera quella del nostro pianeta di quasi 9 volte. Anche se relativamente vicino in termini squisitamente astronomici, attualmente non abbiamo la tecnologia necessaria per raggiungerlo; si stima che impiegheremmo 1.000 anni solo per arrivare nel sistema stellare più vicino al Sole (Alpha Centauri, a 4 anni luce di distanza). In un lontanissimo futuro forse ci riusciremo. Ciò che è certo è che K2-18b è uno dei corpi celesti più interessanti e affascinanti da studiare e, oltre a finire nuovamente nel mirino del James Webb, verrà sicuramente studiato anche da tutti i grandi telescopi terrestri e spaziali di ultima generazione attualmente in costruzione. I dettagli della ricerca “New Constraints on DMS and DMDS in the Atmosphere of K2-18b from JWST MIRI” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica The Astrophysical Journal Letters.

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