Le PFAS o “sostanze chimiche per sempre” danneggiano anche i reni alterando il microbiota intestinale
Le PFAS (sostanze perfluoroalchiliche), conosciute con il famigerato nome di “sostanze chimiche per sempre”, sono associate a un significativo danno renale guidato dall'alterazione del microbiota intestinale. È quanto emerso da un nuovo studio che ha indagato sulla funzionalità renale di giovani volontari in relazione alle concentrazioni di PFAS rilevate nel loro organismo. Questi composti chimici sono inquinanti molto diffusi – se e conoscono oltre 12.000 – che dagli anni '50 del secolo scorso vengono utilizzati in una moltitudine di prodotti di uso comune: dal rivestimento delle padelle antiaderenti ai contenitori di cibo, passando per tessuti, mobili, vernici, insetticidi, schiume antincendio e molto altro ancora.
La loro caratteristica principale è quella di degradarsi in tempi lunghissimi nell'ambiente e nel nostro corpo, da qui il nome “sostanze chimiche per sempre”. L'acqua può essere fortemente contaminata, soprattutto quella di falde acquifere a ridosso di complessi industriali e agricoli dove si fa ampio uso di queste sostanze. Anche in Italia – e in particolar modo in Veneto – è presente una contaminazione rilevante. L'impatto sulla salute delle PFAS è ancora ampiamente dibattuto dalla comunità scientifica; ciò che è certo è che si tratta di interferenti endocrini, cioè sono composti che simulano gli ormoni, pertanto possono alterare fertilità e sviluppo, inoltre sono state associate a diverse malattie come il cancro, in particolar modo diversi tumori nelle donne. Ora sappiamo che possono deteriorare la funzionalità renale e che a guidare questo processo è probabilmente l'alterazione della flora batterica intestinale indotta da queste sostanze.
A determinarlo è stato un team di ricerca statunitense guidato da scienziati della Scuola di Medicina Keck dell'Università della California Meridionale, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi di vari istituti. Fra essi l'Università Emory di Atlanta; la Facoltà di Medicina dell'Università del Colorado; la Scuola di Salute Pubblica Johns Hopkins Bloomberg e altri. I ricercatori, coordinati dalla dottoressa Hailey Hampson del Dipartimento di Scienze della Popolazione e della Salute Pubblica presso l'ateneo di Los Angeles, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver analizzato sangue e feci di circa 80 giovani tra i 17 e i 22 anni, tutti partecipanti al Southern California Children's Health Study. L'obiettivo era indagare l'associazione tra esposizione alle PFAS e deterioramento della funzionalità renale. I campioni biologici sono stati raccolti e analizzati a quattro anni di distanza.
Come emerso dalle analisi, maggiori erano le concentrazioni di PFAS rilevate (ne sono state valutate sette tipologie), peggiore era la funzionalità renale dei giovani rilevata quattro anni dopo. Per valutarla gli scienziati si sono concentrati su creatinina sierica e cistatina-C, biomarcatori presenti nel plasma sanguigno che indicano l'efficacia filtrante dei reni (tecnicamente è stata valutata la velocità di filtrazione glomerulare o eGFR). Dai risultati è emerso che a “ogni aumento della deviazione standard nel punteggio di carico di PFAS basale è stato associato a un eGFR inferiore del 2,4 percento al follow-up”, hanno spiegato gli scienziati nell'abstract dello studio.
Un dato interessante è che questa riduzione dell'efficacia filtrante era spiegata in buona parte dall'alterazione del microbiota intestinale; tali cambiamenti potevano spiegare fino al 50 percento di tale riduzione. I batteri “buoni” della flora intestinale e i metaboliti da essi prodotti giocano infatti un ruolo protettivo riducendo l'infiammazione, ma la presenza di PFAS può compromettere questa funzione catalizzando anche il danno renale. “Abbiamo visto che l'esposizione alle PFAS stava potenzialmente alterando la composizione del microbioma, associata a livelli inferiori di batteri benefici e metaboliti antinfiammatori più bassi”, ha dichiarato in un comunicato stampa la dottoressa Hampson.
I risultati dovranno essere confermati da indagini più approfondite e con un campione più alto di partecipanti, ma rappresentano l'ennesimo campanello d'allarme sulla diffusione di questi inquinanti. Un recente studio ha dimostrato che idrogeno gassoso e luce ultravioletta possono eliminare il 95 percento delle PFAS dall'acqua in soli 45 minuti. I dettagli della ricerca “The potential mediating role of the gut microbiome and metabolites in the association between PFAS and kidney function in young adults: A proof-of-concept study” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Science of The Total Environment.