Le parti commestibili di pesci e frutti di mare sono piene di microplastiche: le specie più contaminate
Pesci, gamberi e altri prodotti ittici sono pieni di microplastiche e altre particelle di origine antropica, dalle fibre tessili alla cellulosa di carta e cartone, fino alle pellicole. A rendere più inquietante la contaminazione vi è il fatto che questi inquinanti sono presenti nella parte edibile degli animali, cioè nei tessuti commestibili come i muscoli, quelli che finiscono regolarmente sulle nostre tavole. In parole semplici, le microplastiche e le altre particelle ingerite da pesci e frutti di mare riescono a trasferirsi dall'apparato digerente alle altre parti dell'organismo, contaminandolo.
È quanto emerso da un nuovo studio che si è concentrato sulla diffusione di microplastiche e altre particelle di origine antropica in alcune specie di pesci e frutti di mare di interesse commerciale, regolarmente catturate nell'Oceano Pacifico nord-occidentale e consumate in Nord America. Fra esse gamberetti, aringhe, scorfani, merluzzi e lamprede. Nonostante il limite geografico dello studio, le microplastiche hanno invaso ogni oceano e mare del pianeta e oltre 14 milioni di tonnellate si trovano solo nei fondali. Ciò che vediamo nelle specie nordamericane, pertanto, si riscontra regolarmente anche in quelle catturate altrove, Mar Mediterraneo compreso, che è tra i più inquinati dai rifiuti plastici a causa delle sue caratteristiche.
A determinare che i tessuti commestibili di pesci e frutti di mare sono contaminati da microplastiche e altre particelle inquinanti di origine antropica è stato un team di ricerca statunitense guidato da scienziati della sezione di Scienze e gestione ambientale dell'Università Statale di Portland, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Dipartimento di Scienze della pesca, della fauna selvatica e della conservazione dell'Università Statale dell'Oregon. I ricercatori, coordinati dalla professoressa Elise Granek e dalla dottoressa Summer Traylor, hanno condotto il nuovo studio sulla base dei risultati di una precedente indagine, nella quale era stata dimostrata la presenza di microplastiche in centinaia di esemplari (tutti tranne due) di ostriche, cozze e cannolicchi raccolti nelle acque del Pacifico nordoccidentale. Dopo i molluschi bivalvi, pertanto, gli studiosi hanno deciso di concentrarsi sulle specie di pesci e crostacei di maggiore interesse commerciale dello stesso tratto di oceano, per questo hanno analizzato 182 esemplari di salmone reale, gambero rosa, scorfano nero, merluzzo bianco, aringa del Pacifico e lampreda del Pacifico.
Attraverso una tecnica spettroscopica chiamata micro Fourier Transform Interferometer (μFTIR), sono state identificate oltre 1.800 particelle e microplastiche in 180 dei 182 animali analizzati. Le più abbondanti erano le fibre, seguite da frammenti e pellicole di plastica. I ricercatori ritengono che questi microscopici elementi derivino dalla frammentazione di vestiti, imballaggi e altri rifiuti plastici che finiscono costantemente in mare (si parla di diversi milioni di tonnellate ogni anno). I pesci con pinna contenevano da 0,02 a 1,08 particelle anomale per grammo di tessuto muscolare, mentre nel gambero rosa (Pandalus jordani) in media vi erano 10,68 particelle per grammo nei campioni appena pescati e 7,63 in quelli comprati al supermercato.
La specie più contaminata in assoluto è risultata essere proprio il gamberetto rosa. La ragione, secondo gli esperti, risiede nel fatto che questo crostaceo vive nelle acque superficiali e si nutre di zooplancton, minuscoli animali trasportati dalla corrente marina. Pesci e crostacei di piccole dimensioni possono scambiare microfibre e pezzetti di plastica – le microplastiche hanno un diametro fino a 5 millimetri – per le loro prede e ingerirne in grande quantità. Ciò che preoccupa è il fatto che questi detriti consumati non vengono espulsi con gli escrementi, ma una parte di essi passa dall'apparato digerente ai tessuti che consumiamo anche noi.
“Abbiamo scoperto che gli organismi più piccoli che abbiamo campionato sembrano ingerire più particelle antropogeniche e non nutrienti. Gamberetti e pesci piccoli, come le aringhe, mangiano alimenti più piccoli come lo zooplancton. Altri studi hanno trovato alte concentrazioni di plastica nell'area in cui si accumula lo zooplancton e queste particelle antropogeniche possono assomigliare allo zooplancton e quindi essere assorbite dagli animali che si nutrono di zooplancton”, ha dichiarato la professoressa Granek in un comunicato stampa. “È molto preoccupante che le microfibre sembrino spostarsi dall'intestino ad altri tessuti come i muscoli. Ciò ha ampie implicazioni per altri organismi, potenzialmente anche per gli esseri umani”, le ha fatto eco la professoressa Susanne Brander, coautrice dello studio.
Dai test è emerso che il salmone era la specie meno contaminata dalle particelle antropiche, seguito da scorfano e merluzzo. Il merluzzo acquistato al supermercato, inoltre, aveva più particelle contaminanti di quello appena catturato e stipato in nave (l'opposto dei gamberetti). Dopo appositi esperimenti i ricercatori sono giunti alla conclusione che alcune microplastiche possono essere aggiunte nei tessuti commestibili dagli imballaggi, dunque sottolineano che il risciacquo prima della cottura potrebbe aiutare a rimuovere parte dei frammenti dalle carni.
Il nuovo studio suffraga i risultati di una precedente indagine condotta da un team di ricerca internazionale guidato da biologi del Campus Recife – Centro di Bioscienze dell'Università Federale di Pernambuco. I ricercatori brasiliano hanno trovato contaminazione da microplastiche in oltre 5.000 specie marine, tutte quelle analizzate da sedimenti oceanici tranne che i tardigradi. Noi siamo costantemente esposti a microplastiche e nanoplastiche e ne ingeriamo e inaliamo circa mezzo chilogrammo ogni anno. Tra i prodotti che ne rilasciano di più le bottiglie di plastica e le bustine di tè. Un recente studio della Facoltà di Scienze Ambientali e delle Risorse dell'Università di Agraria e Forestale dello Zhejiang ha evidenziato i significativi danni ai nostri tessuti provocati da questi composti inquinanti. I dettagli della nuova ricerca “From the ocean to our kitchen table: anthropogenic particles in the edible tissue of U.S. West Coast seafood species” su pesci e frutti di mare contaminati da microplastiche sono stati pubblicati sulla rivista scientifica specializzata Frontiers in Toxicology.