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Le microplastiche possono invadere il cervello in 2 ore

Lo dimostrano i risultati di un nuovo studio sugli animali, da cui è anche emerso il meccanismo con cui le minuscole particelle di plastica superano la barriera ematoencefalica.
A cura di Valeria Aiello
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Le microplastiche possono attraversare la barriera ematoencefalica e invadere il cervello dopo essere state ingerite. Lo dimostrano i risultati di un nuovo studio appena pubblicato sulla rivista scientifica Nanomaterials da un team di ricerca guidato dagli studiosi dell’Università di Vienna, in Austria, e dell’Università di Debrecen, in Ungheria, da cui è anche emerso il meccanismo che permette a queste microparticelle di superare la barriera ematoencefalica, l’importante struttura cellulare che protegge il cervello dalle sostanze nocive. L’analisi, condotta su modelli murini, fa seguito a un crescente numero di studi che hanno recentemente fatto luce sulla frequenza con cui queste microplastiche si trovano nel sangue umano, tra cui una ricerca che ha rilevato particelle di polistirene, una plastica ampiamente utilizzata negli imballaggi degli alimenti, in un terzo di campioni analizzati.

Microplastiche trovate nel cervello degli animali

Proprio il polistirene è al centro della nuova indagine, che ha riscontrato la presenza di minuscole particelle di questo polimero nel cervello dei topi appena due ore dopo l’ingestione. “Nel cervello, le particelle di plastica potrebbero aumentare il rischio di infiammazione, disturbi neurologici o persino malattie neurodegenerative come l’Alzheimer o il Parkinson” ha affermato Lukas Kenner del Dipartimento di Patologia dell’Università di Vienna e co-autore corrispondente dello studio.

Attualmente, sugli effetti delle microplastiche sulla salute sono in corso diversi studi, che hanno già dimostrato che queste particelle possono superare la parete protettiva dell’intestino (barriera intestinale) , collegando la loro presenza nel tratto gastrointestinale a reazioni infiammatorie e immunitarie locali, e allo sviluppo del cancro. Un’altra recente indagine ha scoperto che le microplastiche possono essere trovate anche nella placenta di donne in gravidanza e, nei topi in gravidanza, raggiungono rapidamente gli organi del feto.

Le vie di ingresso delle microplastiche nel corpo umano

Le possibili vie di ingresso di queste particelle nel corpo umano molteplici: possono entrare nel nostro organismo attraverso la catena alimentare, perché rilasciate dai recipienti in cui sono contenuti gli alimenti, oppure attraverso cibi e le bevande contaminati, essendo presenti in grandi quantità anche nell’acqua e nell’aria.

Secondo uno studio pubblicato su Environmental Science and Technology è possibile che ognuno di noi ingerisca dalle 39mila alle 52mila particelle ogni anno, ma tale quantità sale a oltre 74mila considerando anche la microplastica inalata. “Per ridurre al minimo il potenziale danno delle nano e microparticelle plastiche per l’uomo e l'ambiente, è fondamentale limitare l’esposizione e limitarne l’uso mentre vengono condotte ulteriori ricerche sui loro effetti sulla salute” ha aggiunto il professor Kenner.

Come le particelle superano la barriera ematoencefalica

In quest’ambito di ricerca, la scoperta del meccanismo mediante il quale le particelle più piccole (0,3 μm) possono superare la barriera ematoencefalica, precedentemente sconosciuto alla scienza medica, ha il potenziale per far avanzare decisamente gli studi sul loro impatto sul cervello. “Con l’aiuto di modelli computerizzati, abbiamo scoperto che una certa struttura superficiale (corona biomolecolare) che circonda le particelle di plastica è cruciale per il passaggio attraverso la barriera emato-encefalica – ha precisato Oldamur Hollóczki del Dipartimento di Chimica Fisica dell’Università di Debrecen e co-autore dello studio – . Abbiamo anche scoperto che le molecole di colesterolo che si accumulano sulla superficie delle particelle di plastica migliorano l’assorbimento di questi contaminanti nella membrana del barriera ematoencefalica, mentre le particelle con una corona proteica lo inibiscono”.

Questi effetti opposti potrebbero spiegare il trasporto passivo delle particelle nel cervello, fornendo una base preziosa per la ricerca e le future misure volte a mitigare gli effetti dannosi delle microplastiche sulla salute umana. “Dato l’utilizzo diffuso della plastica nella nostra vita quotidiana e la crescente preoccupazione per l’impatto delle microplastiche sull’ambiente e sulla nostra salute, vi è un urgente bisogno di ulteriori ricerche in questo settore” hanno concluso gli studiosi.

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