L’Amazzonia respira, deforestazione ridotta del 33,6% nel 2023: entro il 2030 stop definitivo
Nei primi sei mesi del 2023 la deforestazione dell'Amazzonia è stata ridotta di un terzo rispetto al medesimo periodo dello scorso anno. È un dato estremamente positivo per il “polmone verde” della Terra, oltre che un evidente segnale del recente cambio di governo in Brasile. Dal primo gennaio di quest'anno è infatti salito al potere Luiz Inácio Lula da Silva (conosciuto semplicemente come Lula) per il suo terzo mandato non consecutivo, subentrato al discusso Jair Bolsonaro che è spesso balzato agli onori delle cronache internazionali (anche) per le sue politiche poco “amiche” dell'ambiente e per l'incremento del disboscamento della Foresta Amazzonica sotto la sua gestione. Basti sapere che nel 2022 l'Amazzonia ha perduto oltre 4,1 milioni di ettari di foresta tropicale, il 10 percento in più rispetto al 2021, con una conseguente produzione di 2,7 miliardi di tonnellate di CO2 (anidride carbonica), il principale dei gas a effetto serra e volano del cambiamento climatico di origine antropica.
Ad annunciare il virtuoso cambio di passo nei primi mesi del 2023 è stato il governo brasiliano, durante una conferenza stampa tenutasi presso la sede dell'Instituto Nacional de Pesquisas Espaciais, l'istituto nazionale di ricerca spaziale (INPE) che si occupa di monitorare costantemente lo stato di salute della Foresta Amazzonica attraverso le rivelazioni satellitari. In base ai dati presentati, da gennaio a giugno di quest'anno sono andati perduti 2.649 chilometri quadrati di foresta pluviale, contro i 3.988 chilometri quadrati dello stesso periodo del 2022. Ciò significa che la deforestazione è diminuita del 33,6 percento. Si tratta indubbiamente di un dato molto positivo, ma l'area andata perduta è comunque più del doppio dell'estensione della città di Roma, dunque c'è ancora moltissimo lavoro da fare per proteggere la foresta vergine. Il trend resta comunque positivo; nel mese di giugno la deforestazione di 663 chilometri quadrati rappresenta un calo del 41 percento rispetto allo stesso mese del 2022.
I passi del governo Lula sono nella direzione giusta: oltre ad aver istituito sei nuove aree protette per le popolazioni indigene, per un totale di oltre 620.000 ettari, ha posto il divieto di estrazione mineraria e limitato gli interventi agricoli. Gli incendi che ogni anno devastano la Foresta Amazzonica sono spesso appiccati dagli allevatori per creare nuovi “pascoli”, ma anche le operazioni minerarie giocano un ruolo significativo nella devastazione del polmone verde della Terra. L'obiettivo del governo Lula è virtuoso: fermare definitivamente la il disboscamento della più grande foresta pluviale del pianeta entro il 2030. L'ambiente e l'umanità intera gioverebbero dalla fine dello sfruttamento dell'Amazzonia, dato che fino a pochi anni fa era fra le principali fonti di assorbimento del carbonio che riversiamo in atmosfera.
Proprio a causa della costante distruzione della foresta vergine, infatti, l'Amazzonia nell'ultimo decennio ha emesso più anidride carbonica di quella che ha assorbito (16,6 gigatonnellate contro 13,9 gigatonnellate), privandoci di uno dei principali alleati contro il cambiamento climatico. Ma un'inversione di tendenza è possibile e la speranza che i segnali positivi presentati dal governo brasiliano rappresentino i pilastri per l'addio definitivo allo sfruttamento. “Stiamo facendo ogni sforzo per garantire che il piano anti-deforestazione sia già operativo. Questo è il risultato dei nostri interventi di emergenza”, ha dichiarato con orgoglio la ministra dell'Ambiente brasiliana Marina Silva durante la conferenza stampa. Nel 2022 è stata perduta una quantità di foresta paragonabile a 3.500 campi da calcio ogni giorno, oltre 10.500 chilometri quadrati, un dato drammatico che si spera non vedremo mai più.