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La velocità di espansione dell’Universo misurata dal telescopio James Webb sconcerta gli scienziati

I risultati infittiscono il mistero attorno a uno dei parametri fondamentali alla comprensione dell’evoluzione e del destino finale del cosmo.
A cura di Valeria Aiello
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La velocità con cui l’Universo si espande, nota come costante di Hubble o H0, è uno dei parametri fondamentali nella comprensione dell’evoluzione e del destino finale del cosmo. Il valore di questa velocità non è però esattamene definito per una serie di ragioni che hanno aperto la strada a molteplici scenari interpretativi. Nel tentativo di andare in fondo alla questione, un team di astrofisici, guidato dal premio Nobel Adam Riess, ha fatto ricorso alle misurazioni del telescopio spaziale James Webb (JWST), senza tuttavia risolvere la faccenda. Anzi. I risultati ottenuti dai ricercatori, dettagliati in un studio accettato per la pubblicazione sull’Astrophysical Journal e disponibili su arXiv, hanno ulteriormente infittito il mistero che ruota attorno a questa costante.

I dubbi nella misura della velocità di espansione dell’Universo

L’Universo si espande in ogni direzione. Lo sappiamo dalle stelle e dalle galassie che nel tempo vediamo allontanarsi sempre di più. Calcolare esattamente la velocità con cui questo accade è un però problema, perché il tasso di espansione cosmica varia a seconda del metodo misurazione. Secondo la misura della “radiazione fossile primordiale” rimasta dal Big Bang più di 13 miliardi di anni fa (Cmb, dall’inglese cosmic microwave background), la costante di Hubble dovrebbe essere pari a circa 68 chilometri al secondo per megaparsec (km/s/Mpc), dove un megaparsec equivale a 1.000 parsec, ovvero circa 3.260 anni luce.

Tuttavia, secondo la misurazione della cosiddetta “scala delle distanze cosmiche” basata sulle stelle Cefeidi, gli esperti hanno calcolato che la costante è di circa 74 km/s/Mpc. Altre misure indipendenti hanno portato invece a ritenere che il valore si collochi nel mezzo.

La discrepanza tra i diversi metodi di misurazione è nota come “tensione di Hubble”, una differenza che potrebbe suggerire che gli strumenti che utilizziamo non sono siano abbastanza “affidabili” oppure che ci sbagliamo di grosso riguardo a questo valore. In altre parole, nelle misurazioni – che ovviamente sono state eseguite più volte per ridurre le possibilità di errore e, soprattutto, sono state basate sui migliori dati del telescopio spaziale Hubble – potrebbe mancare qualcosa nella nostra comprensione delle leggi fisiche che governano l’Universo.

Il tasso di espansione dell'Universo misurato dal telescopio spaziale James Webb

Le nuove misurazioni effettuate con il telescopio spaziale James Webb hanno escluso che la discrepanza tra le diverse misurazioni sia dovuta a problemi tecnici durante le osservazioni delle Cefeidi effettuate con Hubble. Le Cefeidi, ha spiegato l’astrofico Riess, Distinguished Professor della Johns Hopkins University e illustre astronomo dello Space Telescope Science Institute (STScI), sono il gold standard nella misurazione delle distanze astronomiche lontane cento milioni o più anni luce da noi, un passo cruciale per determinare la costante di Hubble. “Sfortunatamente, dal nostro punto di osservazione terrestre, queste stelle appaiono ammassate insieme nelle galassie e quindi spesso non riusciamo a separarle dalle loro vicine”.

Uno dei principali motivi che ha spinto alla costruzione del telescopio Hubble è stato proprio quello di risolvere questo problema, in quanto questo osservatorio spaziale “ha una migliore risoluzione della lunghezza d’onda visibile rispetto a qualsiasi telescopio terrestre, perché si trova al di sopra degli effetti di sfocatura dell’atmosfera terrestre. Di conseguenza, può identificare le singole variabili Cefeidi nelle galassie distanti più di cento milioni di anni luce e misurare l’intervallo di tempo durante il quale cambiano la loro luminosità”.

Per eliminare tutte le incertezze dovute alla polvere che oscura la lunghezza d’onda visibile, i ricercatori hanno quindi provato a condurre queste osservazioni nel vicino infrarosso, una parte dello spettro elettromagnetico in cui Hubble non è particolarmente specializzato. Pertanto, hanno fatto ricorso agli strumenti del telescopio James Webb che, d’altra parte, è il potente osservatorio spaziale a infrarossi e ha la possibilità di raccogliere dati che non sono soggetti alle stesse limitazioni di Hubble.

Confronto delle relazioni periodo-luminosità delle Cefeidi utilizzate per misurare le distanze. I punti rossi sono stati ottenuti dal telescopio spaziale James Webb, mentre i punti grigi dal telescopio spaziale Hubble / Credit: NASA, ESA, A. Riess (STScI) e G. Anand (STScI).
Confronto delle relazioni periodo-luminosità delle Cefeidi utilizzate per misurare le distanze. I punti rossi sono stati ottenuti dal telescopio spaziale James Webb, mentre i punti grigi dal telescopio spaziale Hubble / Credit: NASA, ESA, A. Riess (STScI) e G. Anand (STScI).

Queste nuovi misurazioni hanno però mostrato che, nonostante la polvere cosmica, Hubble non si sbagliava. “Nel primo anno di lavoro di Webb, con il nostro programma General Observers 1685, abbiamo raccolto osservazioni di Cefeidi trovate da Hubble in due passaggi, lungo quella che è conosciuta come la scala della distanza cosmica” ha aggiunto Riess. Il primo step prevedeva la calibrazione della luminosità delle Cefeidi in una galassia con una distanza geometrica nota, la NGC 4258. Il secondo passo è stato quello di osservare le Cefeidi nelle galassie ospiti delle recenti supernove di tipo Ia, che sono esplosioni di stelle luminose, per verificare sostanzialmente se le osservazioni di Hubble fossero corrette.

Recentemente – ha precisato Riess martedì, presentando la ricerca alla First Year of Science conference del JWST – abbiamo ottenuto le nostre prime misurazioni Webb dai passaggi uno e due che ci consentono di completare la scala delle distanze e confrontarle con le misurazioni precedenti con Hubble”. Come mostrato in figura, le misurazioni del JWST “hanno ridotto drasticamente il rumore nelle misurazioni delle Cefeidi grazie alla risoluzione dell’osservatorio a lunghezze d'onda del vicino infrarosso”.

Ma, in particolare, Riess ha evidenziato le misurazioni del telescopio James Webb ripotano in primo piano la possibilità che la tensione di Hubble “sia un indizio di qualcosa che manca nella nostra comprensione del cosmo.

Potrebbe indicare la presenza di energia oscura” una forza misteriosa e non identificata che apparentemente potrebbe esercitare una pressione negativa che sta accelerando l’espansione dell’Universo. “Oppure – incalza Reiss – la presenza di una particella o di un campo unico. Ad oggi le misurazioni di Webb forniscono la prova più forte che gli errori sistematici nella fotometria delle Cefeidi di Hubble non svolgono un ruolo significativo nell’attuale tensione di Hubble. Di conseguenza, le possibilità più interessanti rimangono sul tavolo e il mistero sulla tensione si infittisce”.

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