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Covid 19

La variante Omicron potrebbe essere nata nei topi

Lo suggerisce una delle ipotesi sull’origine di Omicron secondo cui la variante di Sars-Cov-2 potrebbe essersi evoluta da un progenitore virale passato dall’uomo ai topi, nei quali avrebbe accumulato una serie di mutazioni, per poi tornare a infettare gli esseri umani.
A cura di Valeria Aiello
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Da quando, due anni fa, il nuovo betacoronavirus Sars-Cov-2 è stato isolato e sequenziato, la comunità scientifica ha provato a risalire all’origine della pandemia negli esseri umani, ritenendo probabile che si sia verificato un salto di specie (uno spillover), ovvero una trasmissione zoonotica da un animale all’uomo. Questo evento non sarebbe il solo ad essere accaduto in principio (gli studiosi hanno ipotizzato che inizialmente possano essersi verificati due spillover distinti, che in primo luogo hanno portato alla circolazione contemporanea di due ceppi di Sars-Cov-2, denominati A e B) ed evidentemente non l’unico salto di specie che il virus ha compiuto dallo scoppio della pandemia in avanti.

L'ipotesi sull'origine di Omicron nei topi

La variante Omicron, in particolare, potrebbe essersi evoluta a partire da un progenitore virale passato dall’uomo ai topi, nei quali avrebbe accumulato mutazioni favorevoli all’infezione di quest’ospite, per poi tornare a infettare gli esseri umani. Sarebbe dunque questa la traiettoria evolutiva interspecie ipotizzata dai ricercatori dell’Academia cinese delle Scienze di Pechino che, analizzando le sequenze virali della nuova variante di Sars-Cov-2, hanno fornito nuove prove dell’origine murina di Omicron.

Abbiamo scoperto che la sequenza della proteina Spike di Omicron è stata sottoposta a una selezione positiva più forte rispetto a quella di qualsiasi variante di Sars-Cov-2 nota per essersi evoluta in modo persistente negli ospiti umani, suggerendo una possibilità di salto dell’ospite” spiegano gli studiosi in una ricerca pubblicata sul Journal of Genetics and Genomics.

Alcune mutazioni di Omicron, osservano gli studiosi, sembrano somigliare a “variazioni associate all’evoluzione del virus in un ambiente cellulare di topo”, come tra l’altro è emerso anche in altre recenti analisi pubblicate nelle ultime settimane. “Le mutazioni a livello della proteina Spike di Omicron – evidenziano gli studiosi dell’Accademia cinese – si sono sovrapposte in modo significativo alle mutazioni di Sars-Co-2 note per promuovere l’adattamento agli ospiti di topo, in particolare attraverso una maggiore affinità di legame della proteina Spike per il recettore di ingresso delle cellule di topo”.

Per arrivare a queste conclusioni, i ricercatori hanno analizzato 45 mutazioni che Omicron ha acquisito dalla divergenza del lignaggio B.1.1 che si ritiene possa essere il progenitore della variante. Di queste, la frequenza relativa di 12 diverse mutazioni è risultata significativamente differente da quella osservata nelle varianti che si sono evolute nei pazienti umani, suggerendo che “il progenitore di Omicron sia passato dall’uomo ai topi, abbia accumulato rapidamente mutazioni favorevoli all’infezione di quell’ospite, quindi è tornato negli esseri umani, indicando una traiettoria evolutiva interspecie per l’epidemia di Omicron”.

Le altre ipotesi sull'origine di Omicron

Gli autori dello studio hanno comunque sottolineato che quella della trasmissione interspecie è solo una delle diverse teorie ipotizzate sull’origine di Omicron. Ciò che sembrerebbe però certo è che, visto l’elevato numero di mutazioni e la collocazione delle stesse nel genoma virale, la variante possa essersi differenziata intorno alla metà del 2020. Tuttavia, per spiegare come possa essere rimasta “nascosta” per così tanti mesi, alcuni esperti hanno anche indicato che la sua evoluzione sia avvenuta in un’area con scarsa sorveglianza epidemiologia e pochi sequenziamenti genomici, probabilmente in Paesi diversi dal Sudafrica dove invece esiste un robusto sistema di sorveglianza.

È anche possibile che la variante si sia sviluppata nel corso di un’infezione di lunga durata in un paziente oncologico o immunocompromesso, come osservato da un team di ricerca sudafricano che ha descritto il caso di un paziente sieropositivo all’HIV che si è infettato con un ceppo simile a quello originario ed è rimasto positivo per oltre 180 giorni, durante il quali il virus si era evoluto, acquisendo gran parte delle mutazioni della variante Beta. La stessa cosa potrebbe essere avvenuta con Omicron, emersa nella stessa area geografica. Ad ogni modo, almeno una delle mutazioni di Omicron che non sono presenti in nessun’altra variante, potrebbe essersi originata in seguito a un evento di ricombinazione virale durante la coinfezione da parte di Sars-Cov-2 e di uno dei quattro coronavirus umani endemici.

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