La tragedia del ghiacciaio della Marmolada ci parla di natura che soffre e uomo che distrugge
Negli ultimi anni sono stati pubblicati numerosi studi che hanno evidenziato l'impatto catastrofico del riscaldamento globale sui ghiacciai, moltissimi dei quali destinati a sparire nel giro di pochi decenni dopo millenni di persistenza. Le emissioni di anidride carbonica (CO2) e altri gas a effetto serra legati alle attività umane, infatti, hanno accelerato sensibilmente i processi di fusione e abbattuto le precipitazioni nevose che li alimentano, determinando un vero e proprio cortocircuito degli ecosistemi glaciali, spingendoli verso un punto di non ritorno. Anche qualora dovessimo riuscire a contenere l'aumento della temperatura media entro i limiti dell'Accordo di Parigi sul Clima, ovvero 2° – 1,5° C in più rispetto all'epoca preindustriale, per molti ghiacciai continentali non ci sarebbe comunque speranza. Tra le vittime più illustri dei cambiamenti climatici col desino segnato vi è proprio il ghiacciaio della Marmolada, la “Regina delle Dolomiti”, dal quale domenica 3 luglio 2022 si è staccato un immenso seracco che ha strappato la vita a molte persone. Nel momento in cui stiamo scrivendo si contano sei morti accertati, una decina di feriti e circa venti dispersi. Si teme un bilancio devastante, per una tragedia che ha molto poco a che fare con la natura e tantissimo con la mano avida dell'uomo, la cui rincorsa perenne alla crescita economica e al consumismo sta trasformando la Terra in un vero e proprio inferno. Ciò che è accaduto sulle Dolomiti è infatti solo un terribile antipasto delle “sofferenze indicibili” cui l'umanità intera andrà incontro se non inizieremo a dare ascolto sin da subito agli scienziati.
Che il ghiacciaio della Marmolada fosse in un gravissimo stato di salute lo si sapeva da anni. Uno studio internazionale del 2019 guidato da scienziati dell'Istituto di Scienze Marine del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR-ISMAR) gli aveva già dato non più di 25 – 30 anni di vita. L'indagine coordinata dal dottor Renato Colucci, ricercatore presso il Dipartimento di Scienze dei sistemi terrestri e tecnologia ambientale dell'istituto, aveva evidenziato che, in un solo decennio, tra il 2004 e il 2014, la massa del ghiacciaio si era ridotta del 30 percento e la copertura di ghiaccio era diminuita del 22 percento. Gli scienziati hanno analizzato lo stato della Marmolada con una tecnica chiamata GPR (acronimo di ground penetrating radar), avvalendosi di un elicottero equipaggiato con strumentazione scientifica. A rendere poco resiliente il ghiacciaio trentino vi è anche l'irregolarità del terreno carsico, che lascia affiorare le rocce dopo lo scioglimento. I rilievi hanno infatti un albedo inferiore del manto nevoso / ghiacciato – la capacità di riflettere i raggi solari – e dunque assorbono più calore, catalizzando di fatto i processi di fusione una volta emersi. “Anche se la temperatura restasse com'è, il ghiacciaio è già in totale disequilibrio con il clima attuale e quindi il suo destino appare comunque segnato”, aveva dichiarato tre anni fa il dottor Colucci.
Anche se negli ultimi anni lo scioglimento del ghiacciaio della Marmolada ha subito una sensibile impennata, parallelamente all'aumento delle temperature medie globali, è dall'inizio del XX secolo che si è avviato il suo triste declino, sotto i colpi di un'atmosfera sempre più rovente e satura di gas a effetto serra. Basti sapere che tra il 1905 e il 2010 ha perduto ben l'85 percento del suo volume. Ma analoghe e drammatiche stime riguardano anche altri ghiacciai, in particolar modo quelli continentali. Come evidenziato da un recente studio coordinato da scienziati dell'Istituto Nazionale di Geologia e Vulcanologia (INGV) e del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), all'ex ghiacciaio del Calderone sul Gran Sasso (oggi trasformato in un glacionevato) restano solo 25 metri di ghiaccio, prima della definitiva scomparsa. Il più antico ghiacciaio alpino, il Rodano in Svizzera, lo scorso anno è stato coperto con teloni isolanti per provare a rallentarne lo scioglimento, ritenuto comunque inevitabile. Secondo lo studio “Global glacier mass changes and their contributions to sea-level rise from 1961 to 2016” pubblicato su Nature da scienziati dell'Università di Zurigo, la maggior parte dei ghiacciai delle Alpi sparirà entro il 2100, il cui scioglimento ha accelerato sensibilmente a partire dal 2006. Questi sono solo alcuni esempi sui catastrofici effetti delle emissioni di origine antropica.
Non c'è da stupirsi che in un simile contesto alcuni scienziati ritengono che la scomparsa del ghiacciaio della Marmolada possa verificarsi addirittura prima dei 25-30 anni stimati nel 2019. Il distacco dell'imponente seracco di ghiaccio tra Punta Rocca e Punta Penia sta lì a dimostrarlo. Da tempo si registravano temperature anomale nell'area e i rischi di potenziali incidenti non erano da sottovalutare. Carlo Budel, storico gestore del rifugio Capanna di Punta Penia, ha affermato che da giorni sentiva scorrere dei veri e propri torrenti d'acqua sotto al ghiacciaio, per questo "la Marmolada andava chiusa". Chi conosce bene la montagna sottolinea che dopo un fenomeno del genere potrebbero innescarsi ulteriori, catastrofici distacchi; ciò rende pericolose anche le ricerche dei numerosi dispersi. È uno scenario di morte e sofferenza, oltre che di distruzione di un prezioso patrimonio naturale. In futuro eventi del genere si ripeteranno con frequenza, se continueremo a sottovalutare i rischi dell'impatto dei cambiamenti climatici e a non dare ascolto al grido d'allarme degli scienziati.