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La Terra morirà, ma noi potremmo salvarci nello spazio: speranze da studi su sperma di topo sulla ISS

Scienziati giapponesi stanno conducendo esperimenti di fecondazione con spermatozoi liofilizzati di topo sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS) per provare a capire se un giorno l’umanità riuscirà a riprodursi nello spazio. La Terra verrà distrutta dal Sole e soltanto se diventeremo una specie multiplanetaria riusciremo a salvarci.
A cura di Andrea Centini
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L'essere umano (Homo sapiens) è destinato a diventare una specie multi-planetaria e i prossimi anni rappresenteranno un primo passo verso questo ambizioso traguardo. Entro il 2026 ci sarà la (ri)conquista della Luna, grazie alla missione Artemis della NASA che farà da apripista alla prima base stabile sul satellite e per possibili, future colonie; per il prossimo decennio si punta invece a Marte, il Pianeta Rosso, sul quale dovrebbe approdare il primo equipaggio umano anche grazie alla Starship di Elon Musk. L'imprenditore prevede di raggiungere tale obiettivo entro il 2030, ma attualmente i rischi per la salute degli astronauti – come il cancro e la distruzione dei reni – sono tali e tali che mancano le opportune premesse, al di là dei molteplici problemi tecnici e logistici ancora da affrontare (come “ammartare” in sicurezza e permettere a una navicella di ripartire, ad esempio).

Lo scopo dell'esplorazione spaziale non è legato soltanto alla sete di conoscenza o magari al progresso tecnologico che ne scaturisce, ma anche al non legarci per sempre al nostro pianeta natale. La Terra, d'altro canto, è destinata a essere distrutta dal Sole quando la stella si trasformerà in una gigante rossa; potrebbe essere inglobata dalla gigantesca palla incandescente, o magari espulsa in un orbita molto più lontana e addirittura al di fuori del Sistema solare. Ciò che è certo è che prima di questa fine, le temperature estreme della stella faranno evaporare gli oceani e "cuoceranno" gli organismi viventi, annientando la biosfera. Se l'umanità vorrà salvarsi, pertanto, in un lontanissimo futuro avrà bisogno di un'altra casa.

Al netto di questo destino ineluttabile, l'essere umano potrà essere spazzato via molto prima: da guerre nucleari, nuove mortali pandemie, cambiamenti climatici o magari un asteroide, come quello dell'evento Chicxulub che 66 milioni di anni fa, alla fine del Cretaceo, spazzò via i dinosauri non aviani. Per gli esperti la minaccia del sasso spaziale non è questione di se, ma di quando. Insomma, prima o poi saremo destinati ad andarcene da qui se vorremo sopravvivere, ma anche nel caso in cui riuscissimo a conquistare l'estremo ambiente spaziale, colonizzando mondi inospitali per renderli abitabili (come Marte), c'è ancora una cosa che non sappiamo e che è fondamentale per la salvezza dell'umanità: la possibilità di riprodurci nello spazio.

I primi topi nati dallo sperma spaziale. Credit: Teruhiko Wakayama
I primi topi nati dallo sperma spaziale. Credit: Teruhiko Wakayama

Per provare a rispondere a questa e altre domande sulla riproduzione “fra le stelle”, il professor Teruhiko Wakayama del Centro di biotecnologia avanzata dell'Università di Yamanashi (Giappone) con il suo team sta conducendo specifici esperimenti a bordo della Stazione Spaziale Internazionale (ISS) con i topi. Più nello specifico, sta valutando la possibilità di ottenere prole sana attraverso la liofilizzazione dello sperma. Un primo studio, pubblicato nel 2017 sulla prestigiosa rivista scientifica PNAS, ha dimostrato che gli spermatozoi di topo esposti all'ambiente spaziale estremo (con radiazioni altissime) hanno mantenuto la propria funzionalità biologica, permettendo la fecondazione delle femmine dopo nove mesi trascorsi a bordo sulla ISS. Una volta riportati sulla Terra sono stati utilizzati in tecniche di fecondazione in vitro per far nascere topolini, venuti alla luce perfettamente sani e con un tasso di natalità regolare (nonostante il DNA dello sperma fosse stato leggermente danneggiato dallo spazio, poi “riparato” dal citoplasma dell'oocita).

Nel nuovo studio in corso, il professor Wakayama e colleghi stanno valutando la capacità di mantenere la funzionalità biologica dello sperma liofilizzato dopo una permanenza molto più lunga, ovvero sei anni. In questo caso però lo sperma è custodito in uno speciale contenitore per proteggerlo dalle radiazioni e a temperatura ambiente (nel precedente studio era a – 95 °C). Tornerà sulla Terra nel 2025 e verrà impiegato in esperimenti simili a quelli condotti con i campioni lavorati nel 2017. Lo scienziato ha affermato che, secondo i dati raccolti dai precedenti studi, lo sperma liofilizzato dovrebbe resistere per 200 anni nello spazio. Potrebbe sembrare un periodo lungo, ma in realtà non lo sarebbe per una specie che punta a diventare multiplanetaria e che non sa se riuscirà a riprodursi su altri pianeti. Ci sono tanti problemi da tenere in considerazione, come ad esempio l'effetto della microgravità sullo sviluppo del sistema nervoso del feto e di altre caratteristiche, che hanno bisogno di una “direzione” determinata dalla gravità terrestre. Lo scienziato è inoltre a lavoro su un dispositivo per permettere agli astronauti di eseguire una fecondazione in vitro nello spazio con i roditori.

“Il nostro obiettivo è stabilire un sistema per preservare in modo sicuro e permanente le risorse genetiche della Terra da qualche parte nello spazio, sulla Luna o altrove, in modo che la vita possa rivivere anche se la Terra dovesse affrontare una distruzione catastrofica”, ha affermato lo scienziato giapponese in una dichiarazione citata dalla CNN. Questi esperimenti, un giorno, potrebbero permettere di salvare l'umanità affrancandola definitivamente dalla Terra, anche dal punto di vista riproduttivo.

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