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La prima cura contro la SLA scoperta a Torino: qual è e come funziona il nuovo farmaco sperimentale

Si tratta del tofersen, un oligoneucleotide antisenso (ASO) che agisce bloccando la sintesi di una proteina alterata (SOD1) responsabile della malattia neurodegenerativa in pazienti con specifiche mutazioni.
A cura di Valeria Aiello
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Un innovativo approccio terapeutico per la cura della sclerosi laterale amiotrofica (SLA) ha mostrato di poter rallentare e, in alcuni casi, addirittura determinare un’inversione nella progressione clinica della malattia neurodegenerativa. Lo hanno annunciato oggi i ricercatori coinvolti nella sperimentazione del tofersen, un oligonucleotide antisenso (ASO) che agisce selettivamente sull’RNA messaggero, bloccando la sintesi di una proteina, la superossido dismutasi 1 (Sod1), che quando mutata si aggrega in modo anomalo insieme ad altre copie di se stessa, causando danni al sistema nervoso. Le mutazioni nel gene SOD1 compaiono in circa il 12-20% dei pazienti con SLA familiare e nell’1-2% dei pazienti senza una storia familiare di SLA. Pertanto, per le persone portatrici di queste mutazioni, i risultati dei test clinici appena pubblicati sul New England Journal of Medicine, rappresentano una svolta storica nel trattamento della condizione.

Il farmaco sperimentale per la cura della SLA, cos’è e come funziona

Come detto, il tofersen è un farmaco sperimentale noto anche come BIIB067: è un oligoneucleotide antisenso (ASO), ovvero una breve sequenza di nucleotidi che si lega all’RNA messaggero di SOD1, consentendo la sua degradazione da parte della RNasi-H per ridurre la sintesi della proteina SOD1. Questa proteina, che normalmente è deputata alla rimozione dei radicali liberi dell’ossigeno (è un enzima anti-ossidante), quando mutata non solo non riesce a svolgere il suo ruolo ma determina l’instaurarsi della malattia con un meccanismo non ancora completamente chiarito, probabilmente legato alla sua struttura alterata che faciliterebbe la formazione di proteine aggregate, causando la morte dei neuroni.

Attualmente non esistono terapie efficaci per il trattamento della SLA associata a mutazioni in SOD1, per cui gli effetti mostrati dal nuovo approccio terapeutico volto a ridurre la sintesi delle proteine mutate sono di notevole importanza per gli studiosi. A sottolineare la rilevanza di “risultati clinici mai osservati precedentemente nel trattamento della SLA” anche il professor Adriano Chiò del Dipartimento di Neuroscienze ‘Rita Levi Montalcini’ dell’Università di Torino, co-autore dello studio e Direttore del Centro regionale Esperto per la SLA (CRESLA) dell’ospedale Molinette della Città della Salute di Torino, l'unico in Italia ed uno dei pochi nel mondo ad essere stato coinvolto direttamente nella conduzione della sperimentazione.

La SLA è una malattia neurodegenerativa rara e progressiva che riduce l’aspettativa di vita e provoca la perdita dei motoneuroni nel cervello e nel midollo spinale responsabili del controllo del movimento muscolare volontario. “L’effetto positivo del farmaco – spiegano gli studiosi – si manifesta in modo netto nel corso del primo anno di trattamento e successivamente persiste nel tempo”.

Lo studio, in particolare, ha finora coinvolto 108 pazienti con SLA associata a mutazioni in SOD1, divisi in pazienti a rapida e lenta progressione, ed ha avuto due fasi: una prima di 6 mesi ed una seconda di estensione dello studio tuttora in corso. “Rilevante è la significativa riduzione della proteina SOD1 e dei neurofilamenti nei casi sottoposti a questa terapia innovativa” hanno precisato i ricercatori del Centro SLA di Torino, ringraziando i partecipanti allo studio e le loro famiglie, nonché la Città della Salute di Torino per aver supportato la ricerca autorizzando i reclutamenti ed il proseguimento dello studio anche durante il periodo di lockdown per la pandemia Covid. “Nella fase di estensione – concludono gli studiosi – verranno ulteriormente valutati i potenziali effetti del trattamento precoce rispetto al trattamento ritardato”.

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