La pandemia ci ha strappato il piacere di uscire: un’ora in meno al giorno fuori casa rispetto al 2019
Per contenere la diffusione del coronavirus SARS-CoV-2 e limitare la pressione sugli ospedali, durante le fasi più critiche della pandemia di COVID-19 sono state introdotte misure draconiane come i famigerati lockdown, le zone rosse e via discorrendo. Rigide e dolorose limitazioni alla libertà personale rese necessarie da un evento straordinario che ad oggi, in base ai dati della Johns Hopkins University, ha provocato ufficialmente oltre 6,8 milioni di morti in tutto il mondo (una sottostima del numero reale, secondo molti esperti). Attività ricreative (e non solo) chiuse, smart working e impossibilità di viaggiare ci hanno confinati a casa a lungo, pertanto non c'è da stupirsi che durante il periodo più difficile della pandemia abbiamo trascorso molto meno tempo fuori dalle mura domestiche. Riconquistare la possibilità di muoversi è stata per molti la più grande liberazione dal giogo pandemico, eppure questa catastrofe globale è riuscita comunque a strapparci parte del piacere di uscire. Secondo un nuovo studio, infatti, rispetto al 2019 trascorriamo quasi un'ora di tempo in meno (esattamente 51 minuti) fuori casa ogni giorno, strascico e conseguenza delle dinamiche sociali innescate dalla vita di clausura.
A dimostrare che usciamo circa un'ora in meno rispetto all'immediato periodo prepandemico è stato un team di ricerca statunitense guidato da scienziati dell'Università Clemson, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi della Luskin School of Public Affairs – Istituto di studi sui trasporti dell'Università della California di Los Angeles (UCLA). I ricercatori, coordinati dal professor Eric A. Morris, docente presso la Facoltà di Architettura, Arte e Costruzione dell'ateneo di Clemson, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver analizzato statisticamente i dati del sondaggio American Time Use Survey condotto su 34.000 cittadini (dai 17 anni in su) in tre fasi differenti: prima della pandemia (2019), durante la pandemia (2021) e dopo la pandemia (2022 e 2023). Il 2020, anno in cui è scoppiata l'emergenza sanitaria globale, non è stato preso in considerazione dagli studiosi per diverse ragioni, compresa l'incompletezza dei dati proprio a causa dei blocchi imposti per legge.
Il professor Morris e colleghi si sono concentrati sul tempo trascorso a casa e fuori casa in molteplici attività, dal riposo alla shopping, passando per attività fisica, frequentazione di eventi sportivi, artistici e religiosi, fino agli spostamenti a piedi o con vari mezzi (valutati separatamente). Incrociando tutti i dati è emerso che il tempo trascorso fuori casa per 8 delle 12 attività esaminate è diminuito, mentre è aumentato quello di 11 su 16 attività svolte a casa. Tra il 2019 e il 2021 il tempo complessivo trascorso fuori casa per le varie attività si è ridotto da 5,5 a 4,5 ore, rubandoci un'ora. Per il 2023 si potrebbe pensare che questo gap sia stato recuperato, eppure sono stati “riconquistati” soltanto una decina di minuti. Rispetto al 2019, l'anno scorso in media i partecipanti hanno infatti trascorso 51 minuti in meno fuori casa per le attività di cui sopra. Ma non solo, in media si sono ridotti anche gli spostamenti di 12 minuti.
La tendenza di ridurre il tempo fuori casa era in atto sin dal 2003, spiegano gli autori dello studio, ma con la pandemia c'è stato un significativo balzo in avanti, anche grazie alla maggiore familiarità “obbligata” con la tecnologia informatica, che ha spinto molte più persone a usufruire dei servizi online per acquisti e procedure varie. Basti pensare a chi si fa consegnare qualunque tipologia prodotto a casa tramite app e siti di e-commerce, o ai corsi online per qualsivoglia attività (dall'esercizio fisico allo studio delle lingue). Gli scienziati fanno anche l'esempio di chi andava in palestra ed è stato costretto ad acquistare degli attrezzi per poter continuare a fare sport durante la pandemia; questi acquisti avrebbero spinto in molti a rinunciare all'attività in palestra. Ma è solo uno degli esempi delle dinamiche sociali cambiate dalla pandemia. Molte aziende, ad esempio, hanno continuato a permettere lo smart working anche dopo la fine della pandemia, riducendo il tempo che i lavoratori dedicavano ad altre attività prima e dopo il turno in sede.
Questo strascico della pandemia, secondo il professor Morris e colleghi, potrebbe essere trasformato in un'opportunità dagli urbanisti, per rendere le città più vivibili in un contesto di cambiamento sociale come quello in corso. “In un mondo in cui le città non possono contare su impiegati vincolati e devono impegnarsi per attrarre residenti, lavoratori e clienti, i funzionari locali potrebbero cercare di investire di più nei loro punti di forza rimanenti”, ha spiegato in un comunicato stampa il professor Morris, docente di pianificazione urbana e regionale presso la Clemson University. “Queste includono opportunità di svago, intrattenimento, cultura, arte e altro ancora. Le città centrali potrebbero trasformarsi in centri di consumo più che di produzione”, ha chiosato l'esperto.
Tutto questo può comportare anche dei vantaggi per l'ambiente ed economici (meno soldi spesi in carburante e dunque meno emissioni di CO2), ma c'è anche il rischio di catalizzare l'isolamento sociale, divenuto un vero e proprio stile di vita per i cosiddetti hikikomori. I dettagli della ricerca “Going Nowhere Faster: Did the Covid-19 Pandemic Accelerate the Trend Toward Staying Home?” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica specializzata Journal of the American Planning Association.