La nipote di Rita Levi-Montalcini: “Non tutte diventiamo madri, lei ha scelto chi voleva essere”
Decise di intitolare la sua autobiografia "Elogio all'imperfezione", eppure, vista da fuori, la sua vita sembra tutto fuorché un esempio dell'imperfezione umana. Rita Levi-Montalcini è stata l'unica donna italiana a ricevere il Premio Nobel per la Medicina. La neurologa torinese, una delle menti più brillanti del Novecento, lo vinse nel 1987, quando erano ancora pochissime le donne a fare ricerca in ambito medico.
Nello stesso anno scrisse la sua autobiografia, che oggi, quasi 40 anni dopo, è finita sul foglio della prima prova della Maturità 2024 (qui abbiamo chiesto a ChatGpt di risolvere tutte le tracce). Nella prova è stato chiesto ai candidati di analizzare un brano dal libro, in cui l'ex senatrice a vita spiega perché secondo la sua esperienza di persona e scienziata l'imperfezione è molto più consona all'essere umano rispetto alla perfezione. Sono poche righe, ma ancora oggi dotate di una forza rivoluzionaria, se calate in una società, com'è quella attuale, in cui il mito della perfezione e della performance governano le nostre vite, già dai banchi di scuola.
A Fanpage.it la nipote di Rita Levi-Montalcini, Piera Levi-Montalcini, ingegnere elettronico, ha commentato il brano selezionato. Anche lei, come sua zia, ha seguito un percorso scientifico, laureandosi in Ingegneria elettronica negli anni '70. Si è occupata per anni di robotica e come presidente dell’Associazione Levi-Montalcini è da anni attiva nel mondo della scuola e nella promozione della cultura scientifica.
Cosa potrebbero trarre i ragazzi di oggi dalle parole di sua zia?
Il primo insegnamento che dovrebbero trarre dall’Elogio all’Imperfezione di mia zia è imparare ad accettare che la vita non è programmabile e che qualsiasi cosa ci succeda dobbiamo prenderla, affrontarla e se serve anche tornare indietro sui nostri passi.
Oggi siamo troppo legati al bisogno di avere un piano prestabilito e certo, come se sapessimo già quale sarà il nostro futuro. Ma questo è impossibile e la “virtù dell’imperfezione” sta proprio nel sapere che nessun piano è perfetto e che la nostra vita può cambiare da un momento all’altro.
Per questo mi aspettavo che molti più studenti avrebbero scelto la traccia in cui c'era il brano del libro di mia zia. Pensavo che potesse essere un'occasione per loro di esprimersi in libertà, per raccontare davvero chi sono.
Forse hanno avuto paura della troppa libertà. La domanda è lecita: cosa possiamo fare se nulla è programmabile?
Ecco, questa è la seconda lezione che credo mia zia abbia voluto lasciare alle generazioni future con le sue parole: se sai osservare e soprattutto ti chiedi il perché delle cose che formano la realtà attorno a te puoi migliorare ciò che esiste, almeno che non lo sia già di suo. La natura umana – come scriveva mia zia nella sua autobiografia – è necessariamente imperfetta, ma questo non è per forza un male.
Un essere perfetto non è migliorabile, l’essere umano, proprio perché imperfetto, lo è. Così come la realtà che ci circonda: tutto ciò che noi osserviamo criticamente ci può suggerire un miglioramento.
Allora l’imperfezione può essere positiva?
L’imperfezione può essere uno stimolo per la nostra mente, per portarci a migliorare tutto ciò che è migliorabile, ma questo è possibile solo se siamo in grado di osservare la realtà e chiederci il perché delle cose.
Una volta, in un’intervista, mia zia spiegò questo concetto con un esempio semplice ma efficace. Pensate alla bicicletta. Da un momento in poi è diventata un oggetto perfetto, con due ruote, pedali, una catena e le gambe del ciclista. Più di questo non si può fare. La sua perfezione non permette un nuovo miglioramento.
Pensate invece al motore della macchina: da quando è stata sviluppata la prima versione, l’uomo ha potuto aggiungere moltissimi miglioramenti e ancora oggi può lavorare per migliorarla, man mano che ci si accorge delle imperfezioni. Ma per essere viste le imperfezioni, c’è bisogno che qualcuno sappia guardare e rendersene conto.
A proposito di imperfezione. Sua zia ha ricevuto il Nobel per la Medicina e lei si è laureata in Ingegneria elettronica quando questa disciplina era ancora ritenuta per uomini. Eppure, a distanza di anni, ancora le donne STEM sono in minoranza, perché?
Certo, gli stereotipi esistono e hanno un peso, ma secondo me se le donne finora sono state poco presenti nelle discipline scientifiche e tecnologiche tanto dipende da quell’atteggiamento di cui abbiamo parlato finora: accettare le cose passivamente senza chiedersi perché siano così. Continuare a fare le cose come sono state sempre fatte, senza chiedersi se possono essere diverse.
Se una ragazza non si iscrive in Ingegneria, non è tanto perché il mondo intorno la contrasta, ma perché ha sempre visto che le altre donne fare altre cose e semplicemente accetta che sia così. Segue il modello di ciò che ha visto. Ma come ha sempre sostenuto mia zia, osservare la realtà significa capire cosa può essere migliorato. Anche se questo può richiedere tempi molto lunghi.
Lei non ha sentito che stava facendo una scelta rivoluzionaria per i suoi tempi?
No, non ho mai pensato che stessi facendo una scelta coraggiosa. Io semplicemente avevo capito che quel settore mi sarebbe piaciuto e ho deciso di seguire le mie inclinazioni. Non mi sono nemmeno domandata se era una cosa da donna o da uomo, era semplicemente quello che a me piaceva.
Quello che possono fare le ragazze oggi è seguire ciò che amano fare, domandandosi quali sono davvero le loro passioni e cercando di liberarsi dagli stereotipi di chi ad esempio sostiene che le donne sono più portate per le discipline umanistiche o per accudire il prossimo. Alla fine ciò che ogni persona deve fare è seguire ciò che le piace davvero.
In politica però ancora oggi c’è chi dice che la prima aspirazione di una donna è diventare madre. Cosa ne direbbe sua zia che non lo è stata?
In una società davvero evoluta, la maternità non può essere fonte di differenza tra uomo e donna. È vero, ancora persiste l’idea che per natura sia la donna ad occuparsi dei figli, ma almeno negli ultimi decenni le donne non devono più solo occuparsi dei figli. Abbiamo donne astronaute, donne primari, ingegnere ed è giusto dare loro spazio, farle vedere alle giovani, così che possano rendersi conto che le donne possono scegliere quello che vogliono fare.
Per quanto riguarda la scelta di diventare madre o meno, sono convinta che mia zia la penserebbe come me: ogni donna, così come ogni persona, deve seguire i suoi desideri. Non dobbiamo essere tutti uguali, avere le stesse ambizioni o le stesse aspirazioni. Non abbiamo tutti voglia di fare le stesse cose, maternità inclusa. Io ad esempio so che non sarei capace di dedicare tutta la mia vita agli altri, perché ho bisogno di coltivare le mie passioni. Ma c’è chi è diverso da me e ognuno deve seguire il proprio carattere. Poi non è nemmeno detto che tutto va nel modo che ci eravamo immaginati. Questa ossessione di programmarci per fissare dei paletti che sembrano indispensabili contraddice la natura stessa della vita.
Eppure i ragazzi che stanno facendo la Maturità in questi giorni devono fare una scelta che potrebbe cambiare la loro vita. Cosa gli avrebbe consigliato sua zia?
È vero, i maturandi sono chiamati a fare una scelta importante per la loro vita, ma nessuno può davvero sapere cosa succederà. Conosco tanti ragazzi che hanno cambiato idea nel corso della loro carriera accademica. Si può cambiare, si può scoprire un lavoro che ci appassiona completamente e fino ad allora non avevamo preso in considerazione. L’importante è vivere, utilizzare il proprio tempo per seguire ciò che ci appassiona e scegliere il lavoro che ci sembra più adatto a noi, almeno nel momento presente. Questo è il messaggio che mia zia ha sempre voluto lasciare ai giovani e penso avrebbe lasciato anche ai ragazzi che hanno fatto la Maturità quest’anno.