La neve sta scomparendo per colpa nostra: un nuovo studio mostra dove ne abbiamo persa di più
Come in molti degli ultimi inverni, dopo un mese di dicembre che sembrava anticipare il futuro della crisi climatica, gennaio ha portato maltempo e neve, sfidando l’idea di un pianeta minacciato dal riscaldamento globale. Eppure, qualcosa non va: molte regioni, abituate a inverni bianchi, ora vedono più pioggia che neve. Un nuovo studio, appena pubblicato su Nature, ha messo in luce l’entità di tale variazione, rivelando che la copertura nevosa nell’emisfero settentrionale ha subito importanti perdite negli ultimi 40 anni per effetto dei cambiamenti climatici causati dall’attività umana.
Neve, dove ne abbiamo persa di più
Misurare la velocità, l’entità e le cause della perdita di neve è notoriamente difficile ma il nuovo studio pubblicato dai ricercatori del Dartmouth College di Hanover, nel New Hampshire (Stati Uniti) offre un notevole quadro generale della riduzione del manto nevoso nell’emisfero settentrionale a partire dagli Anni 80. Le riduzioni più marcate si registrano negli Stati Uniti sudoccidentali e nordorientali, ma anche nell’Europa centrale e orientale, con perdite di manto nevoso associate al riscaldamento globale che sono comprese tra il 10% e il 20% per decennio.
La neve, osservano i ricercatori Alexander Gottlieb e Justin Mankin che hanno condotto lo studio, è molto sensibile alle variazioni invernali di temperatura e alle precipitazioni e “i rischi derivanti dalla perdita del manto nevoso non sono gli stessi nel New England come nel sud-ovest, o per un villaggio sulle Alpi come nell’Asia di alta montagna”.
Gli studiosi infatti hanno scoperto che l’80% dei manti nevosi dell’emisfero settentrionale, che si trovano nell’estremo nord e nelle zone ad alta quota, hanno subito perdite minimi oppure si sono espansi, come accaduto in vaste aree dell’Alaska, del Canada e dell’Asia centrale “poiché il cambiamento climatico ha aumentato le precipitazioni che cadono sotto forma di neve in queste regioni gelide”. È tuttavia il restante 20% del manto nevoso che si trova attorno a molti dei principali centri abitati dell’emisfero settentrionale ad essere diminuito.
I rischi della perdita del manto nevoso
L’entità e la velocità di queste perdite minaccia l’approvvigionamento idrico di centinaia di milioni di persone in Nord America, Europa e Asia, e che senza un’azione concreta sul clima, il riscaldamento globale continuerà ad amplificare il problema. “Ci siamo preoccupati soprattutto di come il riscaldamento influenzi la quantità di acqua immagazzinata nella neve – ha affermato Gottlieb – . La perdita di quel serbatoio è il rischio più immediato e potente che il cambiamento climatico pone alla società in termini di diminuzione delle nevicate e dell’accumulo di neve”.
“Il nostro lavoro identifica i bacini idrografici che hanno subito perdite di neve storiche e quelli che saranno più vulnerabili al rapido calo del manto nevoso con un ulteriore riscaldamento” ha precisato Gottlieb, evidenziando che, entro la fine del secolo, regioni come Stati Uniti sudoccidentali e nordorientali potrebbero essere quasi senza neve già alla fine di marzo.
La sicurezza idrica è solo parte del problema della perdita di neve, che mette a rischio anche le economie delle regioni che dipendono dalle attività ricreative invernali. Anche la neve artificiale, spiega il team, ha una soglia di temperatura massima che in molte zone si sta rapidamente raggiungendo.
“Le stazioni sciistiche a quote e latitudini più basse sono già alle prese con la perdita di neve anno dopo anno. E ciò non farà altro che accelerare, rendendo il modello di business impraticabile – ha aggiunto Mankin – . Probabilmente assisteremo a un ulteriore consolidamento dello sci in località grandi e dotate di risorse adeguate, a scapito delle aree sciistiche di piccole e medie dimensioni che hanno valori economici e culturali locali cruciali. Sarà una perdita che si ripercuoterà sulle comunità”.