La Nebulosa Squalo “morde” il cielo della Calabria: la meravigliosa foto di Gianni Lacroce
Viviamo in un momento storico in cui le opere create con l'intelligenza artificiale (IA) iniziano a essere talmente realistiche che in molti, facilmente, possono essere tratti in inganno da immagini fasulle, ma proposte come vere sui social network (con scopi non sempre benevoli). Oppure si possono ritenere dei falsi scatti che in realtà sono genuini. Dunque, cosa pensare di un enorme squalo che “nuota” nello spazio profondo? Con queste premesse, molto probabilmente, in tanti lo riterrebbero il frutto di un ingegnoso e sofisticato prompt su ChatGPT, Copilot, Midjourney e simili; del resto è sin troppo bello e dettagliato per essere vero. Ha la bocca spalancata, l'occhio al punto giusto, la pinna dorsale e persino un incredibile cenno delle branchie, oltre a una silhouette inconfondibile da pesce cartilagineo. Eppure, ciò vedete in testa all'articolo è una vera astrofotografia. Un capolavoro firmato dall'astrofotografo Gianni Lacroce, che ha immortalato la nebulosa oscura LDN 1235, meglio conosciuta come Shark Nebula, Nebulosa Squalo nel nostro idioma.
Questa meraviglia della natura si trova incastonata nella costellazione boreale (settentrionale) di Cefeo a circa 650 anni luce dalla Terra. Le nebulose oscure sono dense nubi di gas e polveri in grado di bloccare la luce emessa dagli oggetti retrostanti – come stelle, galassie nebulose a emissione – presentandosi appunto come macchie oscure. Talvolta assumono forme straordinarie che ci ricordano qualcosa di molto terrestre. Tra le più famose vi è la Nebulosa Testa di Cavallo (Barnard B33 o B33) nel cuore della meravigliosa costellazione di Orione, sita innanzi alla nebulosa IC 434 – che la fa risaltare – e nei pressi della lucentissima Alnitak, in realtà un sistema composto da tre stelle. La Nebulosa Squalo non è famosa come la Testa di Cavallo per una semplice ragione: pur essendo assolutamente mozzafiato, è molto, molto più complessa da fotografare. È un oggetto estremamente debole, tanto che è conosciuto prevalentemente da astronomi e appassionati di astrofotografia, fra i quali solo i più bravi riescono a coglierla con dettagli convincenti. Lo “scatto” di Gianni Lacroce – in realtà la fusione di moltissimi scatti – è indubbiamente una delle immagini più belle e definite di questo difficile soggetto, mostrando in dettaglio i suoi nebulosi veli grigio scuro.
L'astrofotografia è una sorta di arte che richiede tante competenze tecniche specifiche, sia nell'uso della strumentazione (telescopi, montature robotizzate, camere astronomiche, filtri etc etc) che nell'utilizzo dei software per la post produzione, grazie ai quali è possibile far emergere tutti i dettagli catturati dal sensore delle fotocamere. Fondamentale è anche un cielo quanto più buio e stellato possibile, privo di inquinamento luminoso. Nel cuore di una città possiamo scordarci di poter catturare la Nebulosa Squalo con un simile dettaglio. Di base, la tecnica astrofotografica prevede l'utilizzo di un astroinseguitore equatoriale – che permette di seguire il movimento della Terra attorno al Sole evitando le “strisciate” degli astri – e catturare quante più immagini possibili a lunga esposizione (anche di diversi minuti) di un determinato soggetto, che poi vengono unite ed elaborate in un unico, magnifico scatto. Come spiegato a Fanpage.it da Gianni, che vive a Roma, la foto della Nebulosa Squalo “è stata scattata i primi di settembre nell'arco di quattro serate in Calabria, più precisamente ad Isca sullo Jonio”, un paesino dove è nato il padre e dove in genere trascorre le ferie estive.
“Il cielo ha un inquinamento luminoso notevolmente inferiore rispetto a Roma dove abito, ed è catalogato come un Bortle 4 (una scala di valutazione del cielo buio NDR), questo permette una visibilità migliore per scatti notturni e in queste condizioni mi spingo a fotografare nebulose oscure come la Nebulosa Squalo”, ha affermato l'astrofotografo. “Un cielo più buio permette di ottenere scatti più definiti con tempi inferiori di oggetti lontani dal nostro Sistema solare; è una parte fondamentale per la riuscita di una buona foto notturna. Per fotografare oggetti del profondo cielo come questa nebulosa utilizzo vari strumenti e software, che mi permettono di gestire l'immagine”, ha aggiunto Gianni.
Tra gli strumenti impiegati una montatura motorizzata che permette di centrare la nebulosa e compensare la rotazione terrestre; una camera planetaria installata sul telescopio guida che fotografa il campo stellare, registra la posizione delle stelle e fa sì che l'immagine resti immobile nella stessa posizione variando al massimo di pochi pixel, permettendo pose lunghe ed evitando anche il micro-mosso; un telescopio principale Newton 200/800 con rapporto focale f/4 molto luminoso e in grado di raccogliere più luce, equipaggiato con una camera specifica per fare astrofotografia, con un sistema di raffreddamento che aiuta a mantenere la temperatura fissa anche sotto lo zero, al fine di ovviare a problemi di rumore elettrico dovuto al riscaldamento del sensore per le lunghe pose.
"I sensori delle camere hanno la possibilità di gestire una visibilità oltre le capacità dell'occhio umano, riprendendo un campo che va dall'ultravioletto all'infrarosso, permettendo di dare un colore ai gas che compongono le nebulose fotografate, inoltre hanno la possibilità di fare pose con tempi lunghi e questo permette di raccogliere più luce", spiega Gianni. "Utilizzando una camera monocromatica devo usare anche filtri per gestire ogni colore (rosso, verde e blu) che combinati insieme danno poi tutta la fascia dei colori che compongono la nebulosa e le stelle", ha chiosato l'astrofotografo quarantottenne.
Oltre alla sofisticata strumentazione tecnica, Gianni ha indicato che utilizza vari software per scattare le fotografie e gestire la post produzione, fra i quali Sequence generator pro, “un programma che mi aiuta a trovare gli oggetti del profondo cielo e permette di fare scatti di 5 – 10 minuti di integrazione, gestendo tutta la mia strumentazione, oltre a fare in modo che possa ripetere lo scatto in serate diverse con il massimo della precisione”; Pixinsight, “un software che permette di sommare tutti gli scatti fatti in un'unica immagine utilizzando le stelle come punto di riferimento, una somma di varie ore permette di fare uscire i colori dei gas della nebulosa”; e infine Photoshop, “per dare contrasto, luminosità e bilanciamento del colore alla nebulosa e alle stelle”.
L'astrofotografo ci ha spiegato che si tratta di un lavoro e uno studio abbastanza impegnativi per la gestione di una singola foto, “ma che ti permette di viaggiare nei posti più nascosti del nostro Universo”. Per comporre la Nebulosa Squalo ha fatto ben 280 scatti con un'esposizione di 5 minuti ciascuno, per un totale di 23 ore in quattro giorni diversi. “Un integrazione di tante ore permette di avere più definizione della nebulosa e meno rumore elettrico dovuto agli scatti notturni; questo in combinazione con un buon cielo permette di avere degli buoni scatti di partenza per gestire poi quello che sarà il risultato finale”. Potete vedere altri splendidi lavori di Gianni Lacroce sulla sua pagina Instagram.