La malattia della “bambina di pietra” e i gatti rossi hanno un legame genetico
Nella primavera del 2023 un team di ricerca internazionale guidato dalla scienziata italiana Elisa Giorgio, ricercatrice presso il Dipartimento di Medicina Molecolare dell'Università di Pavia e dell'Unità di Genetica Medica della Fondazione IRCCS Mondino, ha fatto luce su una delle malattie più rare e terrificanti di cui i medici sono a conoscenza. Parliamo di una forma unica al mondo di ossificazione eterotopica, un tipo di disturbo genetico in cui gli altri tessuti del corpo si calcificano con conseguenze catastrofiche.
La malattia congenita – cioè presente sin dalla nascita – colpì la piccola Beatrice “Bea” Naso, conosciuta come la “bambina di pietra” a causa del fatto che poteva muovere soltanto gli occhi. Nel caso specifico, il difetto genetico comportava l'ossificazione della cartilagine, costruendo all'interno del suo corpo una sorta di solida armatura che la immobilizzava. La bambina morì nel 2018 all'età di otto anni, appena sei mesi dopo la sua mamma, Stefania Fiorentino, deceduta per un tumore a soli 35 anni.
Quando Bea Naso nacque, nel 2010, come spiegato dalla dottoressa Giorgio non c'erano ancora i mezzi tecnologici né le conoscenze di base per comprendere la misteriosa patologia, che sorprese anche i più grandi esperti di malattie rare. Col passare degli anni, tuttavia, tali competenze sono state acquisite e infine gli scienziati sono riusciti a comprendere i meccanismi genetici intrinseci di questa atroce forma di ossificazione eterotopica, ancora oggi priva di un nome definitivo. Come spiegato nell'articolo “Enhancer hijacking at the ARHGAP36 locus is associated with connective tissue to bone transformation” pubblicato su Nature Communications, i ricercatori hanno determinato che la condizione era innescata dalla deregolazione di un gene chiamato ARHGAP36, sito sul cromosoma X. In parole molto semplici, a causa della presenza di regioni del cromosoma 2 inserite in quello X, questo gene veniva spinto a produrre una proteina in concentrazioni molto più elevate del normale (sovraespressione), determinando altresì il processo di mineralizzazione della cartilagine.
Due nuovi studi indipendenti non ancora pubblicati su riviste scientifiche – ma caricati sul database BiorXiv qui e qui – hanno fatto una scoperta affascinante relativa allo stesso gene coinvolto nella malattia della “bambina di pietra”. Più nello specifico, sul gene ARHGAP36 presente nei gatti. Dopo decenni di ricerche, infatti, gli scienziati hanno svelato il mistero della pelliccia dei gatti rossi, alla cui formazione concorre proprio una mutazione sul gene Arhgap36, omologo a quello umano. Ricordiamo che i geni omologhi sono geni che derivano da un antenato comune, presenti in specie diverse ma correlate dal punto di vista filogenetico. Nel caso specifico, i piccoli felini domestici (Felis catus) e l'essere umano (Homo sapiens) sono entrambi mammiferi e si trovano sullo stesso ramo dell'albero, pur essendo separati da decine di milioni di anni di evoluzione. Ciò significa che condividono molto materiale genetico, fra cui il gene ARHGAP36. Generalmente i geni omologhi possono mantenere struttura e funzioni simili tra le specie che le condividono, tuttavia, a causa delle mutazioni accumulate nel corso del tempo, possono essere molto divergenti.
Nel risolvere il mistero dell’origine genetica della colorazione sesso-specifica del pelo unica nei gatti, i ricercatori hanno scoperto che una delezione in Arhgap36 (un peculiare tipo di mutazione cromosomica, ovvero la perdita di un segmento di un cromosoma) determina una deregolazione di questo gene, che spinge i melanociti a produrre pigmento chiaro. Ciò, in parole semplici, si traduce nella pelliccia dei gatti maschi. I ricercatori sono giunti alle loro conclusioni analizzando le concentrazioni di RNA prodotte dai melanociti di gatti rossi e non rossi; hanno osservato che quelli dei primi producevano 13 volte più RNA dal gene Arhgap36 , sito sul cromosoma X. È proprio questa anomalia a rendere rossa la pelliccia dei gatti, un mistero risolto soltanto oggi. A questo risultato sono giunti due studi contemporaneamente, uno condotto negli USA dal genetista Greg Barsh della prestigiosa Università di Stanford, l'altro in Giappone dal biologo dello sviluppo Hiroyuki Sasaki dell'Università di Kyushu.
La differenza sostanziale tra l'anomalia genetica che determina la pelliccia rossa dei gatti e quella che ha innescato la terribile malattia di Beatrice Naso risiede nel modo in cui viene deregolata l'espressione del gene ARHGAP36. Nel caso dei felini l'anomalia riguarda solo i melanociti, per questo la manifestazione è confinata al solo colore della pelliccia; per quanto concerne la patologia umana, la deregolazione interessa invece la linea germinale, pertanto coinvolge tutte le cellule. È per questo che l'intero corpo della bimba rimase come pietrificato dal processo di ossificazione. Grazie alla comprensione di queste anomalie genetiche e dei meccanismi biologici che innescano, gli scienziati possono accumulare conoscenze preziose che, un giorno, potrebbero aiutare a prevenire determinate malattie rare e congenite attraverso forme innovative di terapia genica. Ma questi studi possono portare anche alla comprensione dei percorsi patogenici di patologie più comuni.