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La malattia del cervo zombie si sta diffondendo in modo preoccupante, esperti: “Rischi per l’uomo”

Nel Wyoming (Stati Uniti) sono stati registrati 800 casi di cervi e alci colpiti dalla “malattia del cervo zombie”, una patologia causata da un prione già rilevata in oltre 30 stati. Secondo gli scienziati può essere trasmessa all’uomo. La malattia è mortale nel 100% dei casi e provoca sintomi orribili. Non esiste una cura.
A cura di Andrea Centini
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La malattia da deperimento cronico (CWD), comunemente conosciuta con l'inquietante nome di “malattia del cervo zombie”, continua a diffondersi in modo preoccupante in decine di Stati degli Stati Uniti d'America, rappresentando una seria minaccia tanto per le popolazioni di cervi quanto per le persone. La patologia neurologica causata da prioni, cioè proteine mal ripiegate in grado di trasmettere l'anomalia a quelle sane, è mortale nel 100 percento dei casi e provoca sintomi terrificanti. Tra quelli più impressionanti vi sono sbavare in modo intenso, andatura claudicante con ripetuti inciampi, sguardo perso, disorientamento e letargia. Non c'è da stupirsi che sia stata associata agli zombie.

Per la malattia da deperimento cronico non esistono cure né vaccini, inoltre ha dimostrato di poter infettare efficacemente le cellule umane in test di laboratorio, come evidenziato nello studio Chronic Wasting Disease of Elk: Transmissibility to Humans Examined by Transgenic Mouse Models. Poiché altre patologie prioniche analoghe come l'encefalopatia spongiforme nei bovini (il morbo della mucca pazza) sono grado di trasferirsi all'uomo, dando ad esempio vita alla malattia di Creutzfeldt-Jakob (MCJ), gli esperti ritengono che questo “salto di specie” possa essere possibile anche con la malattia del cervo zombie. Ad oggi, fortunatamente, non risultano ancora casi rilevati nell'essere umano, ma la diffusione esplosiva della patologia e i frequenti contatti tra cervi e uomini – in particolar modo cacciatori – e il consumo di carne infetta possono innescare la miccia in qualunque momento.

A lanciare l'allarme sui potenziali pericoli i due ricercatori Samuel J. White e Philippe B.Wilson dell'Università Nottingham, che hanno pubblicato un articolo su The Conversation. Gli scienziati sottolineano che la patologia è stata riscontrata in ben 800 cervi e alci nel solo Stato del Wyoming, un numero enorme, considerando che a novembre dello scorso anno era stato identificato il primo caso in assoluto nel celebre Parco Nazionale dello Yellowstone. Si trattava di uno sfortunato cervo mulo (Odocoileus hemionus), la cui carcassa era stata ritrovata dai ranger del Wyoming Game and Fish Department (WGFD) nei pressi del lago Yellowstone. In base ai dati dei Centers for Disease Control and Prevention (CDC) statunitensi, la malattia è stata ad oggi riscontrata in 414 contee di 31 diversi Stati negli USA. È un dato da non sottovalutare visti i rischi di possibile trasmissione all'uomo. Basti pensare che, secondo lo studio Chronic Wasting Disease in Cervids: Implications for Prion Transmission to Humans and Other Animal Species, solo nel 2017 è stato stimato il consumo fra i 7.000 e i 15.000 animali infetti, con una proiezione di crescita del 20 percento anno dopo anno.

La mappa della diffusione negli USA della malattia del cervo zombie. Credit: CDC
La mappa della diffusione negli USA della malattia del cervo zombie. Credit: CDC

A preoccupare gli esperti vi è il fatto che i prioni della malattia del cervo zombie sono in grado di persistere nell'ambiente per anni, “resistendo ai tradizionali metodi di disinfezione come la formaldeide, le radiazioni e l’incenerimento a temperature estreme”, spiegano White e Whilson. Ciò significa che è possibile portarseli dentro casa anche solo camminando nei luoghi in cui vivono i cervi malati, dato che suolo e acqua possono essere contaminati a lungo. Ancor più inquietante le modalità “silenti” del possibile contagio, considerando che “i prioni non innescano una risposta immunitaria, rendendoli difficili da rilevare con i mezzi convenzionali”. Ad oggi è un problema che riguarda principalmente gli Stati Uniti, ma alcuni casi di malattia da deperimento cronico sono stati riscontrati anche in Europa, nello specifico nella Penisola Scandinava.

Gli esperti raccomandano di rafforzare la sorveglianza e il monitoraggio per mitigare i rischi della trasmissione nelle popolazioni di cervidi e il possibile salto all'uomo, ad esempio “attraverso la promozione di pratiche di caccia responsabili per ridurli al minimo” e testando la carne. La malattia, oltre a rappresentare un rischio per noi, è innanzitutto un grave problema che mette a repentaglio la salute dei cervi, animali che giocano un ruolo fondamentale nel mantenimento degli equilibri ecologici degli ecosistemi in cui vivono. La speranza è che si riescano a prevenire ulteriori focolai e l'espansione di una patologia terribile e difficilissima da combattere.

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