La malattia del “cervo zombie” preoccupa gli esperti: “Può essere trasmessa agli umani”
La scoperta del primo caso di malattia del “cervo zombie” a Yellowstone, il parco che ospita la più vasta e diversificata varietà di grandi mammiferi selvatici degli Stati Uniti continentali, è “un campanello d’allarme pubblico”. Lo afferma il dottor Thomas Roffe, veterinario e ex capo della salute animale del Fish & Wildlife Service, un’agenzia federale statunitense, che insieme a molti altri esperti ora teme la possibilità che la malattia possa compiere il salto di specie ed essere trasmessa dai cervidi (cervi, alci, renne e caprioli) ad altri mammiferi, agli uccelli e persino agli esseri umani. Dello stesso avviso diversi epidemiologi, secondo cui l’assenza di un caso di “spillover” non significa tuttavia che questo non si verificherà.
Secondo gli esperti, la malattia del “cervo zombie”, che fa parte di un gruppo di disturbi neurologici causati dai prioni, di cui fa parte anche il cosiddetto morbo della mucca pazza, potrebbe arrivare all’uomo attraverso il consumo di carne contaminata ed è per questo motivo che, con la stagione della caccia in corso negli Usa, i Centri statunitensi per il controllo delle malattie (CDC) e i singoli Stati stanno raccomandando fortemente che gli animali selvatici vengano testati per la malattia e che la carne dei cervidi che sembrano malati non venga consumata.
La malattia del “cervo zombie”
La malattia del “cervo zombie”, nota ufficialmente come malattia da deperimento cronico (dall’inglese Chronic Wasting Disease, CWD), è un’encefalopatia spongiforme trasmissibile che colpisce i cervidi, causata dai prioni, proteine mal ripiegate in grado di alterare la forma di varianti normali della stessa proteina. Il loro accumulo nel cervello causa una malattia degenerativa del sistema nervoso centrale ad esito inevitabilmente fatale, che rende i cervidi sbavanti, letargici ed emaciati, provocando uno “sguardo vuoto” per il quale è appunto conosciuta con il nome di malattia del “cervo zombie”.
Come riportato al Guardian dal dottor Michael Osterholm, un epidemiologo che ha studiato l’epidemia di encefalopatia spongiforme bovina, o “morbo della mucca pazza ” – una condizione, come detto, correlata ai prioni – ed è direttore del Centro per la ricerca e la politica sulle malattie infettive presso l’Università del Minnesota, la malattia dei cervidi è “disastro che si muove lentamente”.
A spiegare i pericoli derivanti dalla sua diffusione anche il dottor Cory Anderson, che ha recentemente conseguito il dottorato con Osterholm, concentrandosi sulle vie di trasmissione della CWD. “Abbiamo a che fare con una malattia mortale, incurabile e altamente contagiosa. Alla base della preoccupazione c’è che non abbiamo un modo semplice ed efficace per sradicarla, né dagli animali che infetta né dall’ambiente che contamina” ha affermato l’esperto.
Una volta che un ambiente è infetto, dicono gli epidemiologi, l’agente patogeno è estremamente difficile da eradicare. Può persistere per anni nello sporco o sulle superfici ed è resistente ai disinfettanti, alla formaldeide, alle radiazioni e all’incenerimento a 600°C.
Il rischio del salto di specie
Negli Stati Uniti e in Canada, la malattia del “cervo zombie” ha attirato l’attenzione non solo perché colpisce gli animali di grossa taglia, ma anche per la possibilità che compia il salto di specie, come avvenuto con il morbo della mucca pazza.
“In Gran Bretagna – ha aggiunto Anderson – la diffusione dell’encefalopatia spongiforme bovina ha fornito un esempio di come, da un giorno all’altro, le cose possano diventare folli quando si verifica un evento di spillover, ad esempio, dal bestiame alle persone. Stiamo parlando della possibilità che qualcosa di simile accada. Nessuno dice che accadrà sicuramente, ma è importante che le persone siano preparate”.
A detta della dottoressa Raina Plowright, ecologista delle malattie infettive presso la Cornell University, la malattia dovrebbe essere vista in un contesto di pericolosi agenti patogeni zoonotici emergenti che si muovono avanti e indietro attraverso le barriere tra le specie umane, il bestiame e la fauna selvatica a livello globale. Le epidemie si verificano quando gli insediamenti umani e le attività agricole si spingono sempre più in profondità negli ambienti dove aumenta il contatto con animali portatori di malattie.
Nel 2017, l’Alliance for Public Wildlife ha stimato che sulle tavole degli americani siano finiti dai 7.000 a 15.000 cervidi colpiti da malattia da deperimento cronico, prevedendo che il loro numero possa crescere del 20% ogni anno. Nel Wisconsin, dove i test sulla carne di selvaggina sono volontari, Anderson e Osterholm affermano che molte migliaia di persone hanno probabilmente mangiato carne di cervi infetti. Nel Wyoming che, d’altro canto, funge da punto di riferimento per gli altri Stati, dal 1997 sono stati raccolti e analizzati 92.000 campioni di tessuto, ha affermato Breanna Ball, del Wyoming Game and Fish Department. L’anno scorso è stata testata la carne di 6.701 cervidi e l malattia era presente in circa 800 campioni, suggerendo che i tassi di infezione sono in aumento. Secondo l’US Geological Survey, la CWD è ora presente in 32 Stati e tre province canadesi.
Come rallentare la diffusione della CWD
Sulla scia della conferma del recente caso di CWD nel parco di Yellowstone, le autorità stanno rivedendo le strategie di sorveglianza per rallentale la diffusione della malattia. Secondo il dottor Roffe, la virulenza della CWD è “dipendente dalla densità”, per cui i tassi di infezione possono essere più elevati “nei luoghi dove riunisce un gran numero di animali”. Particolarmente problematica, osserva, è la controversa alimentazione artificiale della fauna selvatica da parte dell’uomo. “Nel Wyoming, il governo statale e quello federale gestiscono quasi due dozzine di ‘aree di alimentazione’ per gli alci, dove a più di 20.000 animali viene data erba medica per aiutarli a sopravvivere all’inverno. La pratica è condannata dalle principali organizzazioni di gestione della fauna selvatica” .
Una delle principali contraddizioni politiche è che in Wyoming, Montana e Idaho, i tre Stati che compongono l’ecosistema Greater Yellowstone, la caccia a lupi e puma viene incoraggiata per la protezione del bestiame, anche se la pratica potrebbe essere controproducente per il controllo della CWD. “Siamo ancora all'inizio di un evento sanitario spaventoso e non sappiamo dove porterà – ha aggiunto Roffe – . C’è molto in gioco per l’ecosistema di Yellowstone e molto in gioco per tutti gli americani che amano la fauna selvatica sana”.