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La “dieta della longevità” secondo uno studio giapponese: diversa tra uomini e donne

Un team di ricerca giapponese ha determinato che tagliare troppi carboidrati nella dieta degli uomini e troppi grassi in quella delle donne aumenterebbe il rischio di mortalità prematura. I risultati del controverso studio condotto sulla popolazione nipponica.
A cura di Andrea Centini
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Una ridotta quantità di grassi e carboidrati è un “ingrediente” alla base di modelli alimentari ipocalorici generalmente promossi come sani, poiché in grado di favorire benessere e longevità. Secondo un nuovo studio giapponese, tuttavia, la questione sarebbe decisamente più complessa. In parole semplici, i risultati della ricerca indicano che ridurre sensibilmente grassi o carboidrati può avere conseguenze significative sulla salute in base al genere, con un impatto negativo sulla longevità. Nello specifico, i ricercatori hanno scoperto che la decisa riduzione dei carboidrati negli uomini e dei grassi nelle donne è associata a un aumento della mortalità per tutte le cause. È doveroso sottolineare che i risultati sono legati alla popolazione giapponese, che segue un'alimentazione molto diversa da quelle occidentali. Per questo motivo diversi esperti di nutrizione hanno già sottolineato l'importanza di interpretare correttamente le conclusioni della nuova indagine, che di certo non vuole promuovere comportamenti alimentari insalubri.

A condurre il nuovo studio è stato un copioso di team di ricerca nipponico guidato da scienziati della Scuola di Specializzazione in Medicina dell'Università di Nagoya, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi della Scuola di specializzazione in odontoiatria dell'Università di Tohoku, della Facoltà del Benessere dell'Università di Shigakkan, dell'Ospedale Universitario di Kyushu e di numerosi altri centri del Sol Levante. I ricercatori, coordinati dal professor Takashi Tamura, docente presso il Dipartimento di Medicina Preventiva dell'ateneo di Nagoya, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver condotto uno studio di coorte nel quale sono stati coinvolti circa 35.000 uomini e 46.000 donne di età compresa tra 35 e 69 anni, con un BMI (acronimo di Body Mass Index, indice di massa corporeo) medio rispettivamente di 23,7 e 22,2 kg/m2. I partecipanti sono stati seguiti per un ampio periodo di foolow-up complessivo (medio di circa 9 anni), compreso tra il 2004 e il 2018. Durante questo intervallo di tempo si sono verificati circa 2.800 decessi, oltre 1.800 uomini e quasi 950 donne.

Per valutare l'assunzione di carboidrati, grassi e computo calorico complessivo dei partecipanti il professor Tamura e colleghi hanno analizzato statisticamente i dati estrapolati da questionari alimentari ad hoc. Hanno messo a confronto queste informazioni con i decessi, facendo emergere associazioni "sibilline". Rispetto agli uomini che ottenevano tra il 50 e il 55 percento di energia (calorie quotidiane) dai carboidrati, quelli che ne ottenevano meno del 40 percento avevano un rischio di morte precoce per tutte le cause sensibilmente più elevato. Tra le donne, invece, chi otteneva oltre il 65 percento delle proprie calorie dai carboidrati aveva un rischio più elevato di morte per tutte le cause. Per quanto concerne i grassi, quando superavano il 35 percento delle calorie quotidiane, negli uomini erano associati a un rischio superiore di morire per cancro e malattie cardiovascolari. Nelle donne invece un minor consumo di grassi era lievemente associato a un aumento del rischio di morte per cancro e tutte le cause.

“Si osserva un’associazione sfavorevole con la mortalità per l’assunzione di pochi carboidrati negli uomini e per l’assunzione elevata di carboidrati nelle donne. Un elevato apporto di grassi può essere associato a un minor rischio di mortalità nelle donne tra gli adulti giapponesi con un apporto di carboidrati relativamente elevato”, hanno scritto nelle conclusioni il professor Tomura e colleghi. Come indicato, i risultati vanno interpretati senza distorcerne il significato e soprattutto va considerato che le diete seguite in Giappone non sono quelle occidentali. Inoltre si è trattato di un "semplice" studio di associazione, che non fa emergere rapporti di causa – effetto. La professoressa Linda Van Horn, epidemiologa della nutrizione clinica, in un'intervista a MedicalNewsToday ha affermato che i risultati non possono essere applicati agli Stati Uniti, “con il loro alto tasso di obesità, assunzione di alimenti ultra-processati e generalmente un basso apporto nutrizionale”, condizione comune (anche se non così estrema) anche in altri Pasi occidentali.

La scienziata aggiunge che parte dei decessi dello studio possono essere spiegati dalla scarsa qualità della dieta seguita, troppo concentrata su alimenti di origine animale e povera di fibre, sostanze fitochimiche, ferro eme, vitamine, minerali, acidi grassi e altre preziose sostanze. Anche il vizio del fumo e dell'alcol potrebbero aver favorito parte dei decessi. Per quanto concerne i grassi “protettivi” nelle donne, la professoressa Michelle Routhenstein ha spiegato che queste sostanze sono coinvolte nella produzione di estrogeni, noti per la funzione cardioprotettiva, per questo un'assunzione troppo scarsa potrebbe avere conseguenze sulla salute. Ma i risultati sono controversi e gli esperti raccomandano di rivolgersi sempre a uno specialista della nutrizione. I dettagli della ricerca “Dietary Carbohydrate and Fat Intakes and Risk of Mortality in the Japanese Population: the Japan Multi-Institutional Collaborative Cohort Study” sono stati pubblicati sulla rivista specializzata Journal of Nutrition.

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