La crisi climatica distrugge i raccolti e condanna alla fame centinaia di milioni di persone
Le conseguenze dei cambiamenti climatici sono molteplici e fra esse figura anche l'erosione della sicurezza alimentare, che catalizza un diffuso rischio di malnutrizione. Gli effetti risultano particolarmente significativi per le popolazioni vulnerabili, le principali vittime del riscaldamento globale, ma in futuro larga parte dell'umanità sarà esposta al pericolo della fame. A puntare i riflettori sull'insicurezza alimentare innescata dalla crisi climatica è il nuovo rapporto The Lancet Countdown on health and climate change: health at the mercy of fossil fuels, pubblicato sull'autorevole rivista scientifica The Lancet.
I dati snocciolati dal copioso team coordinato dalla professoressa Marina Romanello, docente presso l'Institute for Global Health University College London, evidenziano quanto e in che modo le anomalie climatiche riescono a limitare la disponibilità, la produzione, la conservazione e l'accesso al cibo nel mondo. Ad esempio gli eventi atmosferici estremi e le temperature insolitamente elevate, come quelle che stiamo vivendo in questo periodo (di diversi gradi superiori alla media stagionale), possono alterare la crescita delle colture e ridurne la produttività. Secondo i calcoli degli scienziati, rispetto al trentennio di riferimento 1981 – 2010 i cambiamenti climatici nel 2021 hanno ridotto la stagione di crescita del mais di 9,3 giorni, del riso di 1,7 giorni e del frumento primaverile / invernale di 6 giorni. Il fenomeno è in peggioramento da diversi anni e sta influenzando la disponibilità di scorte alimentari nei Paesi poveri. Non c'è da stupirsi che nel 2020 quasi 100 milioni di persone in più (di 103 diverse nazioni) hanno segnalato un'insicurezza alimentare da moderata a grave, rispetto al periodo 1981 – 2010.
La denutrizione è peggiorata sensibilmente durante la pandemia di COVID-19, con 161 milioni di persone in più nel 2020 costrette a soffrire la fame rispetto al 2019. La situazione sta ulteriormente precipitando a causa della Guerra in Ucraina e della conseguente crisi energetica, che ha un impatto significativo sul costo della vita. The Lancet stima che fino a 13 milioni di persone in più nel mondo soffriranno la fame nel 2022 per questa ragione. Nel complesso circa 800 milioni di persone (il 10 percento della popolazione mondiale) hanno difficoltà a nutrirsi, una condizione che i cambiamenti climatici stanno esacerbando attraverso “meccanismi multipli e interconnessi”. Basti pensare alla siccità che annienta le colture. Tra il 2012 e il 2021 circa il 30 percento della superficie terrestre in più è stata colpita dalla siccità, rispetto al periodo compreso tra il 1951 e il 1960.
Nonostante nel 2015 sia stato preso un impegno concreto per sconfiggere definitivamente la malnutrizione entro il 2030, i dati risultano in peggioramento dal 2017. Come indicato, hanno subito una significativa flessione nel 2019 a causa della pandemia, ma non è certo il coronavirus SARS-CoV-2 a guidare il crollo della sicurezza alimentare. Le ondate di calore, gli eventi meteorologici estremi e gli incendi, tutti fenomeni magnificati dal riscaldamento globale, stanno provocando gravi danni diretti e indiretti alle colture, favorendo anche la diffusione di parassiti e la salinizzazione dei terreni agricoli e delle riserve idriche, come avvenuto in nord Italia questa estate a causa della siccità estrema. Anche l'industria zootecnica soffre enormemente per la carenza di foraggio e acqua.
Le alte temperature e gli eventi meteorologici violenti riducono altresì la capacità lavorativa degli agricoltori, un fattore che impatta sia sui raccolti stessi che sulle entrate delle famiglie, contribuendo ad ampliare l'insicurezza alimentare. Paradossalmente l'aumento della CO2 (anidride carbonica) in atmosfera può favorire la crescita di alcune piantagioni, ma è anche in grado di ridurre le proprietà nutrizionali di alcuni cereali, come spiegato nel rapporto su The Lancet. L'aumento delle temperature marine e l'acidificazione degli oceani stanno inoltre riducendo gli stock ittici, la principale fonte di sostentamento per decine di milioni di persone che vivono lungo le coste.
Tutti questi fenomeni risultano in significativo deterioramento a causa delle anomalie climatiche ed è fondamentale che istituzioni e governi intervengano con iniziative rapide e incisive. Al di là del taglio repentino delle emissioni di gas a effetto serra, gli autori dello studio sottolineano che devono essere promossi metodi di irrigazione sostenibili, piantagioni di colture resistenti alla siccità, sistemi di allerta precoce contro gli eventi meteorologici estremi e il sostegno finanziario da parte dei paesi più ricchi. La giustizia climatica di cui parla spesso l'attivista ambientalista Greta Thunberg passa anche dal far pagare chi è responsabile delle emissioni storiche di carbonio, ad esempio eliminando il debito ai Paesi poveri.
Ma per scongiurare l'apocalisse climatica sono necessarie misure drastiche in grado di stravolgere società e infrastrutture. Tutto quello che stiamo facendo per ridurre le emissioni è infatti ampiamente insufficiente e, secondo un recente rapporto dell'ONU, di questo passo entro il 2100 saremo condannati a un aumento delle temperature medie di 2,5° C. È ben oltre l'obiettivo degli Accordi di Parigi sul Clima di Parigi (1,5° C), la soglia che ci permetterebbe di evitare le sofferenze indicibili sulle quali gli scienziati stanno provando ad allertarci da anni.