La cannabis resta nel nostro corpo per centinaia di anni: lo dimostra uno studio italiano
Potrebbe sembrare assurdo, ma le tracce dell'uso della cannabis possono restare nel nostro organismo per centinaia di anni, dunque ben al di là della morte. Lo hanno dimostrato scienziati italiani che hanno analizzato campioni ossei di nove persone sepolte a Milano nel XVII secolo, cioè circa 400 anni fa. La scoperta non solo evidenzia la persistenza nelle ossa dei principi attivi della cannabis, più nello specifico del tetraidrocannabinolo (THC) e cannabidiolo (CBD), ma mostra anche le prime prove del potenziale uso ricreativo della cannabis in Italia (e in Europa) nel 1.600. Inoltre i risultati dello studio fanno emergere l'archeotossicologia come una nuova e affascinante disciplina scientifica nel campo della ricerca.
A condurre il nuovo studio è stato un team di ricerca tutto italiano guidato da scienziati dell'Università degli Studi di Milano, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense (LABANOF) dell'Università di Milano, dell'Unità di Radiologia dell'IRCCS Policlinico San Donato, della Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano. I ricercatori, coordinati dalla dottoressa Gaia Giordano del Dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute dell'ateneo meneghino, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver condotto approfondite indagini spettroscopiche sui resti ossei di nove persone sepolte nella cripta Ca' Granda dell'Ospedale Maggiore di Milano, dove fino alla fine del XVII secolo venivano sepolti i pazienti che perdevano la vita. All'epoca era uno dei più importanti centri sanitari di tutta Europa.
I campioni ossei (presi dai femori) sono stati polverizzati e sottoposti ad analisi spettroscopica con un sofisticato spettrometro di massa a triplo quadrupolo, il Thermo Scientific™ TSQ Fortis™ II. Questa procedura permette di identificare i composti chimici presenti all'interno del campione preparato. Come specificato, in due dei nove femori – cioè nel 22 percento dei campioni – sono state trovate tracce di tetraidrocannabinolo e cannabidiolo, due dei principali composti psicoattivi della cannabis. Sono stati rilevati nei femori di un uomo e di una donna, che evidentemente consumavano la pianta officinale per qualche ragione.
È interessante notare che i ricercatori conoscevano la dettagliata farmacopea dell'Ospedale Maggiore durante il XVII secolo grazie alla documentazione d'archivio recuperata dagli archeologi, tuttavia la cannabis non ne faceva parte. Ciò significa che all'epoca non veniva somministrata ai pazienti da parte dei medici italiani, perlomeno non in via ufficiale. Una delle ragioni risiede nel fatto che con l'editto papale del 1.484 chiamato “Summis desiderantes affectibus” l'Inquisizione fu autorizzata a perseguire per stregoneria chi utilizzava / preparava sostanze con effetto psicoattivo come appunto la cannabis. Da allora fu attuata la vera e propria caccia alle streghe che condusse alla morte migliaia di persone, facendo crollare la diffusione delle piante "stupefacenti" in maniera significativa in Europa (ma non ovunque), dopo aver goduto di ampio successo in epoca romana.
La dottoressa Giordano e i colleghi ipotizzano dunque che i pazienti con tracce di cannabinoidi usassero la cannabis per scopo puramente ricreativo, ma non si possono escludere l'automedicazione, la somministrazione da parte di altri medici al di fuori dell'Ospedale Ca'Granda o magari l'esposizione “professionale o involontaria”, come si legge nell'abstract dello studio. Ciò che è certo è che la prima volta che i principi attivi della cannabis vengono rivenuti nelle ossa antiche ed è la prima volta che questo affascinante metodo di indagine tossicologica viene utilizzata per analizzare resti umani recuperati in un sito archeologico. I dettagli della ricerca “Forensic toxicological analyses reveal the use of cannabis in Milano (Italy) in the 1600's” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica sepcializzata Journal of Archaeological Science.