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La biodiversità sta diminuendo più rapidamente nelle aree protette: com’è possibile

Uno studio condotto dal Natural History Museum del Regno Unito ha dimostrato che la biodiversità sta calando più rapidamente nelle aree definite come protette rispetto a quelle non protette.
A cura di Andrea Centini
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Rana di Berger. Credit: Andrea Centini
Rana di Berger. Credit: Andrea Centini

Nel 2022, in occasione della Convenzione delle Nazioni Unite sulla diversità biologica (COP15) tenutasi in Canada, i Paesi partecipanti hanno sottoscritto un accordo storico per proteggere la natura, il Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework, meglio conosciuto come “30 x 30”. In parole semplici, infatti, questo accordo prevede la costituzione di aree protette – sia in mare che sulla terraferma – entro il 2030 volte a tutelare il 30 percento del patrimonio naturale del pianeta. Ciascun Paese deve fare la sua parte destinando alla protezione e alla ricostituzione delle aree degradate circa un terzo dei propri ecosistemi, dalle aree marini alle foreste, passando per giungle, zone umide e altri hotspot per la biodiversità.

È un obiettivo virtuoso e ambizioso che è stato accolto con grande entusiasmo dalle associazione ambientaliste, oltre che da cittadini e decisori politici che hanno a cuore la salute del pianeta sul quale viviamo, dunque anche la nostra e quella degli altri esseri viventi. Nello stesso accordo si è persino deciso di rivalutare 500 miliardi di dollari di sussidi che potrebbero essere dannosi per l'ambiente. Nonostante tutto, in molti casi questo “30 x 30” rischia di restare solo un numero da raggiungere e presentare, senza tenere conto dell'effettiva qualità del risultato.

A dimostrato un nuovo rapporto dell'autorevole Museo di Storia Naturale (Natural History Museum) del Regno Unito, tra le istituzioni scientifiche più impegnate nella conservazione della biodiversità in tutto il mondo. Secondo questa indagine, infatti, l'attuale approccio del modello 30 x 30 non sembra adeguato a proteggere la biodiversità nelle aree protette, dalle quali scaturiscono molti servizi ecosistemici essenziali per le persone (dal cibo all'energia, passando per le materie prime fino alla disponibilità di acqua). Attraverso un indice chiamato Biodiversity Intactness Index (BII) è stato infatti determinato che nelle aree protette la biodiversità si sta deteriorando più rapidamente che nelle aree non protette. Potrebbe sembrare assurdo, ma è esattamente ciò che è emerso dall'approfondita analisi. Più nello specifico, i ricercatori dell'ente britannico hanno determinato che tra il 2000 e il 2020 l'integrità della biodiversità è calata in media di 1,9 punti nelle aree protette, mentre nelle aree protette il calo è stato di 2,1 punti.

A livello globale, l'integrità della biodiversità è diminuita dell'1,88 percento, passando dal 61,26 percento al 59,37 percento nel corso del ventennio sopraindicato. Nelle aree che forniscono i servizi ecosistemici più importanti il calo è stato dell'1,91 percento, con il rilievo di un'integrità biologica del 55,41 percento nel 2020. Nelle aree protette l'integrità biologica è migliore (oltre il 70 percento), ma la degradazione sta avvenendo in modo più rapido. Secondo gli scienziati del Museo di Storia Naturale ciò significa che i decisori politici si stanno concentrando più sul raggiungimento di un numero che sull'effettiva qualità della protezione. Tra le ragioni del degrado più rapido nelle aree protette vi sarebbe il fatto che i piani adottati non sono ad ampio spettro, cioè non sono destinati a proteggere l'intero ecosistema, ma sono specifici per determinate specie di interesse. Immaginiamo le misure atte a proteggere specie endemiche (che vivono solo lì), che tuttavia potrebbero alterare gli equilibri per le altre che convivono con esse. Non va poi dimenticato il degrado dell'ambiente nonostante lo status di area protetta.

Il Natural History Museum (NHM) spiega che il 22 percento delle zone più ricche di biodiversità del mondo si trova proprio all'interno di aree protette, eppure è proprio qui che l'integrità biologica sta diminuendo più velocemente. Per invertire la rotta non basta aumentare l'estensione di queste aree e concentrarsi sulla protezione delle singole specie, ma fare in modo di conservare più efficacemente l'intero territorio. “Dovremmo andare verso un processo più dinamico e attentamente monitorato, tramite il quale le aree possono essere ‘gestite' fino a uno stato di maggiore resilienza”, spiegano gli autori dello studio, sottolineando l'importanza di rafforzare le collaborazioni nazionali e internazionali al fine di monitorare al meglio i cambiamenti della biodiversità, molti guidati anche dall'impatto del cambiamento climatico.

“Dobbiamo urgentemente andare oltre l'attuale approccio di designare semplicemente più aree protette a 30 x 30. La nostra analisi rafforza la visione che questo non si tradurrà automaticamente in risultati migliori per la biodiversità e gli ecosistemi”, ha spiegato al Guardian la dottoressa Emma Woods del Natural History Museum, ha affermato. Il rischio che questo 30 x 30 potesse trasformarsi in un numero di facciata da sbandierare dai politici senza l'effettiva qualità era sempre presente; i ricercatori sottolineano che è fondamentale concentrarsi proprio su questo aspetto del lavoro, oltre che sui numeri, necessari per un'adeguata estensione delle aree da proteggere.

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