Kelly, senza olfatto da dieci anni: ora sarà la prima paziente a ricevere una cura sperimentale
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Perdere l'olfatto non significa solo non riconoscere più il profumo del tuo piatto preferito o quello di un giardino in fiore: può diventare un limite nelle attività quotidiane più comuni o perfino un rischio per la propria sicurezza. Ad esempio, una persona priva di olfatto non può riconoscere se un alimento è andato o a male, né se c'è una perdita di gas in casa.
In termini medici questa condizione si chiama "anosmia", un disturbo che può essere temporaneo o permanente e può manifestarsi dopo un'infezione virale. Fino a qualche anno fa era sconosciuta ai più, ma con il Covid-19 il numero di persone che si è trovata a sperimentare la perdita di olfatto è cresciuta in modo esponenziale. Questo ha prodotto anche un maggiore interesse da parte della ricerca medica nel tentativo di individuare una cura per le forme permanenti del disturbo.
L'aumento di casi dopo la pandemia
Il maggiore interesse verso l'anosmia e le altre forme di alterazione dell'olfatto, come la parosmia – in cui il cervello non è in grado di riconoscere correttamente gli odori – sembra avere prodotto un primo, promettente risultato nel Regno Unito. Qui la professoressa Zara Patel, della Stanford University, potrebbe aver trovato un possibile trattamento sperimentale in grado di restituire l'olfatto a chi lo ha perso dopo un'infezione che ha colpito il nervo olfattivo, tra cui il Covid-19.
La storia di Chrissi Kelly
Chrissi Kelly è la prima paziente in tutto il Paese a riceverlo: la donna ha perso l'olfatto nel 2012, ormai più di dieci anni fa, in seguito a una sinusite. Al Guardian ha raccontato come per lei ritrovarsi a non riconoscere nessun odore è stato "come vivere un lutto". A rendere ancora più difficile la sua situazione – ha raccontato – è stata la poca attenzione al problema che allora, prima della pandemia, riguardava davvero pochissime persone.
Tanto che presto Kelly decide di aprire un'associazione di beneficenza, AbScent, per offrire supporto alle persone con la sua stessa condizione. Poi, la pandemia cambia tutto: in un anno gli iscritti passano da 1.500 a 95.000. Il Covid-19 trasforma l'anosmia da una condizione rara a un disturbo sempre più diffuso. È a quel punto che la professoressa Patel si mette alla ricerca di una cura: facendo ricerca si imbatte in uno studio di qualche anno fa che suggeriva un trattamento per rigenerare il nervi responsabile dell'olfatto, un aspetto promettente se si considera le modalità cui il SARS-CoV-2 può modificare l'olfatto, ovvero legandosi alla parte superiore del nervo olfattivo.
Una possibile cura
Questo trattamento sembra essere anche poco invasivo: consiste infatti – spiega il quotidiano inglese – in iniezioni di plasma ricco di piastrine (PRP) ottenuto dal sangue dello stesso paziente. In una serie di studi condotti da Patel, il trattamento si è rivelato più efficace di un placebo già dopo tre mesi e ha permesso a uno dei partecipanti di recuperare l'olfatto dopo ben 45 anni.
Kelly ha ricevuto le prime iniezioni e dovrà farne altre due nei prossimi tre mesi. Ovviamente prima di potersi dire guarita dovrà aspettare gli esiti del trattamento, ma per ora le aspettative sono alte: "È incredibile poter dire che esiste un trattamento ed è emozionante essere la prima persona a riceverlo".