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Joseph, una diagnosi di ADHD a 37 anni: “Vi spiego cosa vuol dire scoprirla da adulti”

Joseph Aquilina ha scoperto di avere l’ADHD all’età di 37 anni e ora si occupa di aiutare altre persone che come lui ricevono la stessa diagnosi in età adulta. Scoprirlo può essere una liberazione ma a volte l’accettazione può essere difficile per diverse ragioni.
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L'ADHD, o disturbo da deficit di attenzione ed iperattività, è per definizione un disturbo dello del neurosviluppo del bambino e dell'adolescente. Per questo i suoi sintomi tendono a manifestarsi nei primi anni di vita, eppure oggi sempre più persone si trovano a scoprire di esserne affetti (e di esserlo sempre stati) da adulti. Guardando solo all'Italia, ad esempio, circa due milioni di adulti hanno l'ADHD (tra il 3 e il 4,5% della popolazione.

Per anni infatti l'ADHD è stata sottostimata a causa di diversi fattori, tra cui la scarsa conoscenza di questo disturbo e quindi la difficoltà nel riconoscere i sintomi. Tra questi ci sono infatti difficoltà nella concentrazione o iperattività, che in passato spesso venivano scambiati per tratti caratteriali. Ma, come ha spiegato a Fanpage il professore di Psicologia dello Sviluppo Gian Marco Marzocchi (Università di Milano Bicocca), chi ha l'ADHD non agisce come una persona un po' sbadata o distratta. SI tratta di un disturbo molto più pervasivo.

Joseph Aquilina è tra coloro che hanno scoperto di avere l'ADHD in età adulta, a 37 anni, durante un momento particolarmente intenso e stressante della sua vita. Oggi aiuta coloro che come lui scoprono da adulti di avere questo disturbo.

"Ho scoperto di avere l'ADHD a 37 anni"

Per tutta la vita, da quando era un ragazzino, Joseph ha avuto difficoltà a concentrarsi, a memorizzare le cose o a pianificare gli impegni, anche i più semplici. Certo, era consapevole di avere queste difficoltà ma per anni le ha attribuite alla sua dislessia, diagnosticatagli ormai 16 anni fa. A un certo punto però qualcosa nella sua vita si incrina e le difficoltà diventano più pesanti. Succede durante un momento molto intenso e stressante: diventa padre, lavora molto e nel mentre cerca di aprire una sua attività.

Ora che aiuta le altre persone a elaborare la diagnosi di ADHD ricevuta da adulti, Joseph ha raccontato che nella sua esperienza è molto comune per gli adulti scoprire di avere questo disturbo proprio durante un periodo difficile o stressante.

Cosa significa ricevere la diagnosi in età adulta

Convivere con l'ADHD senza esserne consapevoli può diventare un impedimento importante per diversi aspetti della vita, personale e lavorativa. Non sapere di avere questo disturbo significa infatti non trattarne in nessun modo i sintomi. Le persone che si trovano in queste condizioni hanno così maggiori probabilità di avere difficoltà nel percorso di studi, e poi nel lavoro, ma anche nelle relazioni. Secondo la Società Italiana di Psichiatria, questo significa avere più probabilità di vivere da adulti in condizioni socio-economiche meno favorevoli di quelle che avrebbero avuto se avessero potuto trattare i sintomi del disturbo.

Ricevere la diagnosi di ADHD da adulto – spiega Joseph alla Bbc – può essere quindi una liberazione perché permette di dare un motivo al senso di inadeguatezza provata per tutta una vita. Inoltre, una volta ricevuta la diagnosi, la persona può iniziare il percorso terapeutico più adatto alle sue condizioni. Non solo per quanto riguarda l'ADHD: dalle statistiche è infatti emerso che le persone che soffrono di questo disturbo a loro insaputa, tendono a sviluppare anche altri disturbi, tra cui ansia e disturbi dell'umore. Ma soprattutto: "Puoi perdonare te stesso per le difficoltà che hai avuto e che altri non hanno", dice Joseph.

Superare lo stigma culturale senza banalizzare il disturbo

Tuttavia, non è così per tutti: purtroppo sull'ADHD ancora persiste un certo stigma culturale, e questo potrebbe rendere più difficile accettare la diagnosi. Inoltre, la tendenza negli ultimi anni a normalizzare il disturbo ha causato l'effetto paradossale per cui oggi sempre più persone tendono ad autodiagnosticarsi il disturbo, anche senza le opportune valutazioni mediche. E questo fenomeno – ha spiegato il Prof. Marzocchi –  rischia al contrario di banalizzare o addirittura ridicolizzare il disturbo, ritorcendosi contro chi ne soffre davvero.

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