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Infarti e ictus previsti con 10 anni di anticipo: un esame del sangue già in uso può fare la differenza

L’esame della troponina, già impiegato negli ospedali per diagnosticare gli attacchi di cuore, può predire anche di 10 anni il rischio di infarto e ictus di una persona: secondo un nuovo studio, l’uso di questo test nelle visite mediche di routine può consentire di rilevare anche i danni cardiaci silenziosi.
A cura di Valeria Aiello
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Infarti e ictus possono essere previsti con un semplice esame del sangue già in uso, ma finora utilizzato solo quando si sospetta un attacco di cuore: si tratta del test per la troponina, un proteina che si trova nelle cellule del muscolo cardiaco e viene rilasciata nel sangue in caso di danno al cuore. Un nuovo studio condotto dalla London School of Hygiene & Tropical Medicine (LSHTM) ha tuttavia dimostrato che l’uso di questo test nelle visite mediche di routine può predire anche di 10 anni il rischio di infarto e ictus di una persona.

Gli studiosi hanno infatti scoperto che il test per questa proteina può rilevare anche i danni cardiaci silenziosi, che sono un segnale di futuro rischio di malattie cardiovascolari. “Abbiamo scoperto che le persone con livelli più alti di troponina nel sangue sono a maggior rischio di infarto o ictus entro 10 anni” hanno precisato i ricercatori, dettagliando i risultati la loro analisi in un nuovo studio pubblicato sul Journal of the American College of Cardiology.

L’esame della troponina predice infarti e ictus con 10 anni di anticipo

L’esame del sangue per la troponina, se applicato nelle visite mediche di routine, può predire il rischio di infarti e ictus di una persona: lo studio che rivela i benefici di un più ampio impiego di questo test, attualmente utilizzato negli ospedali solo quando si sospetta un attacco cardiaco, ha evidenziato che le persone con livelli più alti di troponina nel sangue hanno una probabilità maggiore di avere un infarto o ictus entro 10 anni.

Questa probabilità è stata calcolata analizzando di dati sanitari anonimizzati di oltre 62.000 persone coinvolte in 15 studi in Europa, Nord America e Australia. Per ogni partecipante sono stati misurati i livelli di troponina ematica, nonché i fattori di rischio convenzionali, quali età, pressione sanguigna, storia di diabete, stato di fumatore e livelli di colesterolo. Sulla base di questi dati, i ricercatori hanno utilizzato un algoritmo per prevedere il rischio di infarto o ictus nei successivi 10 anni, oltre a registrare, sempre per 10 anni, gli eventuali eventi cardiovascolari che si sono verificati.

Questo tipo di confronto ha mostrato che il test della troponina è stato particolarmente efficace nell'individuare il pericolo nel 35% delle persone considerate a rischio intermedio, ovvero quelle in cui attualmente il rischio è considerato non sufficientemente elevato da giustificare un trattamento preventivo.

La nostra analisi ha mostrato che, includendo i risultati del test della troponina tra i fattori di rischio convenzionali, fino all’8% delle persone originariamente classificate come a rischio intermedio fa in realtà parte dei soggetti ad alto rischiohanno affermato gli studiosi – . L’uso di trattamenti preventivi, come la somministrazione di statine o altre terapie, in queste persone riclassificate potrebbe quindi aiutare a prevenire molti gravi eventi cardiovascolari, tra cui infarti o ictus”.

Secondo i ricercatori, introdurre il test della troponina nelle attuali linee guida per la stima del rischio cardiovascolare potrebbe rivelarsi particolarmente utile nell’identificare i soggetti ad alto rischio. “Questi nuovi dati suggeriscono che aggiungere questo esame del sangue agli attuali modelli di previsione del rischio potrebbe aiutare i professionisti medici a identificare un maggior numero di persone a rischio più elevato – hanno sottolineato gli studiosi – . Ciò consentirebbe di fornire consigli e trattamenti per ridurre il rischio di futuri infarti e ictus”.

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