In uno dei luoghi più estremi della Terra prosperano microbi vivi: come è possibile
Contro ogni previsione, in uno dei luoghi più estremi della Terra prosperano microbi vivi, nonostante condizioni eccezionalmente inospitali: parliamo del deserto di Atacama, in Cile, un ambiente unico nel suo genere per l’aridità che lo caratterizza, per la quale è spesso descritto come uno dei luoghi dove è apparentemente impossibile l’esistenza di qualsiasi forma di vita. Tuttavia, non tutto soccombe alla sua siccità: recenti studi hanno infatti mostrato che il suo suolo sabbioso è colonizzato da comunità microbiche diversificate, sulle quali è però difficile indagare, principalmente perché con le tecniche convenzionali non è facile distinguere il materiale genetico dei microrganismi vivi da quello dei microrganismi morti.
Una svolta in questo ambito di ricerca arriva da un nuovo metodo di analisi del DNA che ha permesso ai ricercatori di concentrarsi solo sui microrganismi vivi: descritto in un nuovo studio pubblicato sulla rivista Applied and Environmental Microbiology, il metodo ha portato a un quadro più chiaro delle comunità microbiche vitali che popolano il deserto di Atacama. “I microbi che abbiamo identificato svolgono un ruolo chiave nei processi iniziali di formazione del suolo – spiegano gli autori dello studio – . Sono in grado di sopravvivere con risorse minime e persino di scomporre i minerali, il che è fondamentale per lo sviluppo del suolo in ambienti estremi”.
Nel deserto di Atacama ci sono microbi vivi adattati alle condizioni estreme
Il deserto di Atacama, in Cile, è uno dei luoghi più inospitali della Terra, considerato uno dei deserti più aridi e antichi del pianeta. Le precipitazioni annuali sono di appena 2 millimetri, con la pioggia che si verifica quasi solamente negli anni di El Niño, ma circa una volta ogni decennio. A rendere ancora più estremo il suo suolo è l’alta salinità del terreno, ricco di minerali che si sono accumulati nel tempo: a ciò si aggiungono le importanti escursioni giornaliere di temperatura (0 °C – 32 °C), l’alto tasso di radiazioni UV e il basso contenuto di carbonio organico nel suolo.
Tutte queste condizioni rendono la vita nel deserto di Atacama straordinariamente dura e praticamente impossibile per la maggior parte delle specie viventi, ma non per alcune comunità microbiche che si sono adattate a queste condizioni. Un nuovo metodo di analisi, in parte sviluppato nel laboratorio di Geomicrobiologia del professor Dirk Wagner del Centro di ricerca tedesco per le Geoscienze (GFZ), ha consentito uno studio più dettagliato di queste forme di vita uniche, migliorando la nostra comprensione delle comunità microbiche che popolano questo habitat estremo.
Questo metodo ha permesso di analizzare il DNA contenuto in campioni di suolo prelevati in sei diversi punti del deserto di Atacama, inclusi alcuni dei siti più aridi, e di distinguere il DNA extracellulare (eDNA, da microbi morti) dal DNA intracellulare (iDNA, da microbi viventi): ciò ha fornito un quadro più chiaro delle forme di vita più abbondanti e di quei microbi che si sono specializzati nella sopravvivenza a condizioni più estreme.
Alcuni microrganismi erano infatti presenti in quasi tutti i campioni, come Acidimicrobiia, Geodermatophilaceae, ma erano presenti anche Frankiales e Burkholderiaceae, noti per aver dato inizio alla formazione del suolo e all’alterazione dei minerali microbici. “C’erano però anche molti specialisti, che si trovano solo in siti specifici o a profondità particolari, con piccole popolazioni complessive – hanno precisato gli studiosi – . Questi specialisti sembrano essersi adattati alle risorse disponibili localmente. Ad esempio, nel sito più umido influenzato dagli spruzzi costieri ricchi di sale, gli archea amanti del sale (alofili) sono stati identificati come specialisti”.
Nel complesso, l’identificazione delle diverse specie microbiche ha permesso di ottenere “informazioni su questi habitat estremi che prima non erano possibili” ha affermato Alexander Bartholomäus, primo autore dello studio.
“È affascinante vedere quanto i microbi siano adattabili e come, con il nuovo metodo di separazione eDNA/iDNA, possiamo decifrare la vita e il comportamento microbico – ha precisato il professor Wagner – . Potremmo applicarlo anche ad altri ambienti estremi, come in Antartide o in condizioni simili a quelle di Marte: ciò aiuterebbe ad ampliare la nostra comprensione degli adattamenti microbici e delle strategie di sopravvivenza negli ecosistemi estremi in tutto il mondo e, identificando forme di vita in ambienti simili a Marte, contribuirebbe anche all’astrobiologia”.