In che modo l’aria inquinata può aumentare la diffusione di batteri resistenti agli antibiotici
La resistenza agli antibiotici (o antibiotico resistenza, AMR, acronimo inglese di antimicrobial resistance) rappresenta una minaccia crescente per la salute globale, ritenuta da molti esperti addirittura più grave del Covid. Solo nel 2019, quasi cinque milioni di decessi in tutto il mondo sono stati associati alla resistenza antimicrobica, di cui 1,27 milioni di morti attribuiti a infezioni da batteri resistenti agli antibiotici, che si stima possano causare oltre 10 milioni di morti l’anno entro il 2050. Un nuovo studio, appena pubblicato su The Lancet Planetary Health, mette in luce come il problema sia legato non solo a una semplice questione di uso eccessivo o improprio di antibiotici, ma anche all’inquinamento atmosferico, il cui ruolo nella diffusione dell’antibiotico resistenza è finora rimasto poco compreso.
Batteri resistenti agli antibiotici e inquinamento atmosferico
L’analisi, la prima a fornire una stima completa del legame tra l’aumento dell’antibiotico resistenza e inquinamento atmosferico a livello globale, evidenzia l’effetto delle polveri sottili (PM 2,5) sulla resistenza agli antibiotici, mostrando come la capacità dei microrganismi di sopravvivere a uno o più antibiotici (multi-resistenza) sia aumentata di pari passo con l’aumento delle concentrazioni di PM 2,5 nell’aria. In particolare, ogni incremento del 10% della concentrazione di PM 2,5 è collegato a una crescita globale dell’1,1% della resistenza agli antibiotici e oltre 43mila decessi per infezioni da batteri resistenti agli antibiotici.
Il PM 2,5 è il particolato di diametro che non supera i 2,5 micrometri, pari a circa il 3% del diametro di un capello umano. Non può quindi essere visto a occhio nudo ma può essere facilmente inalato. Le fonti di PM 2,5, come il traffico stradale, i processi industriali e un po’ tutti i tipi di combustione (legna per il riscaldamento domestico, incendi, etc.), espongono ogni anno circa 7,3 miliardi di persone in tutto il mondo a pericolosi livelli di PM 2,5, già associati a infiammazioni e infezioni delle vie respiratorie.
Solo di recente l’aria inquinata è stata riconosciuta anche come un percorso potenzialmente importante per la diffusione dell’antibiotico resistenza. È stato infatti dimostrato che il PM 2,5 contiene diversi batteri resistenti e geni che conferiscono resistenza agli antibiotici, che vengono trasferiti da un ambiente all’altro e possono essere direttamente inalati dall’uomo. “Il PM 2,5 – spiegano gli autori dello – sembra anche poter aumentare la permeabilità della membrana batterica (la proprietà che consente il passaggio di sostanze attraverso la membrana esterna, ndr), aumentando l’efficienza del trasferimento di materiale genetico tra batteri, accelerando l’evoluzione e lo scambio di elementi di resistenza agli antibiotici nei patogeni batterici”.
Il nuovo studio ha riportato che i più alti livelli di resistenza agli antibiotici sono stati rilevati nel Nord Africa e nell’Asia occidentale, aree che presentano entrambe un più grave inquinamento da PM 2,5. In confronto, Europa e Nord America, che hanno mostrato livelli medi inferiori di inquinamento da PM 2,5, avevano anche livelli più bassi di resistenza agli antibiotici.
L’analisi ha inoltre rilevato che è sufficiente un aumento di solo l’1% di PM 2,5 per registrare un aumento di Klebsiella pneumoniae a più antibiotici (multi-resistenza), comprese le polimixine, una classe di antibiotici utilizzata come ultima risorsa per trattare infezioni causate da batteri resistenti. Questo batterio si diffonde tipicamente negli ospedali e può causare polmonite, meningite e infezioni del tratto urinario.