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Il virus dell’herpes labiale resta per sempre nel corpo e può invadere il cervello: ora sappiamo come

Attraverso appositi esperimenti un team di ricerca internazionale ha osservato in che modo il virus dell’herpes labiale (Herpes simplex virus di tipo 1 o HSV-1) può raggiungere il cervello, innescando infezione e infiammazione in specifiche regioni dell’encefalo. Il virus, dopo l’esposizione, resta latente nel nostro organismo per tutta la vita – annidandosi nei gangli nervosi – e si “risveglia” in caso di forte stress e sistema immunitario debole.
A cura di Andrea Centini
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Il virus dell'herpes labiale, l'Herpes simplex virus di tipo 1 (HSV-1), è un patogeno più subdolo di quel che si possa immaginare. Praticamente tutti nel corso della vita abbiamo a che fare con questa fastidiosa infezione, che di tanto in tanto si manifesta sulle nostre labbra con vescicole fastidiose, pruriginose e antiestetiche. Un elemento curioso è che la comparsa di segni e sintomi non è in genere connessa a una nuova esposizione, come avviene per molte malattie infettive, bensì alla riattivazione del virus che resta latente nei gangli nervosi periferici – e in particolar modo nel ganglio trigemino (TG) – per tutta la nostra vita. In pratica, non ce ne liberiamo mai. Quando siamo sottoposti a forte stress e il nostro sistema immunitario è debilitato, il virus della famiglia Herpesviridae si risveglia e “presenta il conto”.

L'aspetto più inquietante di questa infezione risiede nel fatto che il virus dell'herpes labiale non si limita a darci noie sulle labbra, ma in alcuni casi può penetrare nel cervello dove può causare un'encefalite – infiammazione cerebrale – potenzialmente letale. Se ciò non bastasse, la presenza delle particelle virali dell'HSV-1 sono state associate da diversi studi a gravi patologie neurodegenerative come il morbo di Alzheimer, la più diffusa forma di demenza al mondo (ne soffrono al mondo circa 40 milioni di persone secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità, un dato destinato a triplicare entro i prossimi tre decenni). Secondo un recente studio svedese  l'infezione raddoppia il rischio di Alzheimer. Ad oggi non ci sono conferme definitive su questo legame e il processo patologico è al centro di un ampio dibattito scientifico; l'unica certezza è che il virus è in grado di entrare nel cervello, dove può causare danni significativi. Ma come ci riesce? Una nuova ricerca ha indagato non solo sulla via d'accesso in modelli murini (topi), ma anche sulle regioni cerebrali coinvolte dall'infezione, una sorta di mappa che può aiutare gli scienziati a comprendere come un'infezione relativamente banale possa trasformarsi in un potenziale pericolo mortale.

A condurre lo studio è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati statunitensi del Dipartimento di Neurologia dell'Anschutz Medical Campus dell'Università del Colorado, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Dipartimento di Biologia Cellulare e dello Sviluppo e del Centre des Sciences du Goût et de l'Alimentation – CNRS dell'Università della Borgogna (Francia). I ricercatori, coordinati dal professor Christy S. Niemeyer, docente di Neurologia presso l'ateneo di Aurora, come indicato hanno indagato a fondo sul modo in cui il patogeno può entrare nel cervello e su come si diffonde l'infezione nelle singole aree. È noto da tempo che il virus può utilizzare due vie differenti per raggiungere il sistema nervoso centrale: il nervo olfattivo (associato anche alle encefaliti da COVID-19 e ai disturbi a olfatto e gusto) e la connessione tra il ganglio trigemino e il tronco encefalico, dove le particelle virali stabiliscono la latenza. Tuttavia, come spiegano gli studiosi, “ad oggi non esiste alcuna caratterizzazione delle regioni cerebrali prese di mira durante l'infezione primaria da HSV-1”.

Dopo aver esposto i topi al patogeno attraverso l'epitelio olfattivo – tramite inoculazione intranasale – è stata osservata un'infezione locale con risposta infiammatoria dei macrofagi. Il virus dal nervo olfattivo è poi migrato in specifiche aree del tronco encefalico – legato a sonno, movimento, respirazione, ritmo cardiaco – e in alcuni nervi cranici, come il vago e l'ipoglosso. Sono risultate positive anche le regioni del locus coeruleus (LC), il nucleo del rafe (RaN) e quelle che producono serotonina e noradrenalina, oltre all'ipotalamo, “un centro critico dell'appetito, del sonno, dell'umore e del controllo ormonale all'interno del cervello”, spiegano gli autori dello studio in un comunicato stampa. Curiosamente l'infezione risparmia l'ippocampo e la corteccia cerebrale, aree collegate a memoria e concentrazione che spesso sono coinvolte nelle patologie neurodegenerative come l'Alzheimer.

Un dettaglio interessante emerso dall'analisi risiede nell'attivazione delle cellule della microglia – legate alla risposta immunitaria nel cervello – dopo l'infezione, che in alcune regioni sono rimaste in attive anche dopo la “scomparsa” del virus. Secondo gli studiosi è un segnale di infiammazione che può sfociare in condizioni serie. “Le cellule persistentemente infiammate possono portare a un'infiammazione cronica, un noto fattore scatenante per una serie di malattie neurologiche e neurodegenerative. Questa ricerca offre importanti spunti per comprendere meglio come i virus interagiscono con la salute generale del cervello e l'insorgenza di malattie neurologiche pervasive”, ha spiegato il professor Niemeyer.

Secondo gli autori dello studio queste informazioni sono preziose per capire in che modo il virus dell'herpes labiale può annidarsi e diffondersi nel tessuto cerebrale innescando danni e, potenzialmente, anche un'encefalite e altre condizioni neurologiche. Chiaramente i topi non sono esseri umani e non tutto ciò che è emerso sarà necessariamente osservato nella nostra specie. I dettagli della ricerca “Olfactory and trigeminal routes of HSV-1 CNS infection with regional microglial heterogeneity” sono state pubblicate sul Journal of Virology.

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