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Il Viagra associato a un rischio ridotto di Alzheimer, secondo un nuovo studio

Un team di ricerca internazionale ha scoperto un’associazione tra l’uso del citrato di sildenafil (Viagra) e la riduzione del rischio di Alzheimer. I risultati, molto promettenti, dovranno essere confermati in ulteriori studi che devono coinvolgere anche le donne.
A cura di Andrea Centini
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Secondo un nuovo studio, i farmaci per la disfunzione erettile come il citrato di sildenafil, meglio conosciuto con il nome commerciale di Viagra, potrebbero ridurre il rischio di sviluppare il morbo di Alzheimer, la principale forma di demenza al mondo. Non è la prima volta che gli inibitori della fosfodiesterasi di tipo 5 (PDE5) – la classe di farmaci cui appartiene il Viagra – vengono associati alla riduzione del rischio di neurodegenerazione e del conseguente declino cognitivo, in particolar modo negli esperimenti condotti su modelli animali, ma l'efficacia sull'essere umano è ancora poco chiara. Lo studio Drug Repurusing for Effective Alzheimer's Medicines (DREAM) condotto da scienziati dei National Institutes of Health (NIH) degli Stati Uniti, ad esempio, ha determinato che questi farmaci potrebbero essere non idonei per il trattamento della demenza, mentre una ricerca del Genomic Medicine Institute – Lerner Research Institute facente capo all'autorevole Cleveland Clinic e basata su analisi farmacoepidemiologiche è giunta alla conclusione opposta.

Il nuovo studio sembra dar ragione ai ricercatori della Cleveland Clinic, facendo emergere un potenziale scudo contro l'Alzheimer in chi assume il Viagra, un farmaco prodotto dalla Pfizer. Più nello specifico, il rischio di sviluppare la demenza sarebbe ridotto di circa il 20 percento rispetto a chi non prende la famosa “pillola blu” dell'amore. È doveroso sottolineare che si è trattato di un “semplice” studio di osservazione, cioè che non mette in evidenza rapporti di causa – effetto, ma i risultati sono statisticamente significativi e di sicuro interesse nel contrasto all'Alzheimer, che oggi colpisce circa 40 milioni di persone nel mondo (secondo i dati dell'Organizzazione Mondiale della Sanità – OMS). È un dato destinato addirittura a triplicare entro il 2050 secondo le stime, con un impatto sanitario, sociale ed economico catastrofico, alla luce delle caratteristiche della patologia.

A condurre la ricerca è stato un team internazionale guidato da scienziati della Scuola di Farmacia dello University College di Londra (Regno Unito), che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del NHS Foundation Trust, del Dipartimento di Pratica Farmaceutica e dell'Università Imam Abdulrahman Bin Faisal (Arabia Saudita). I ricercatori, coordinati dalla professoressa Ruth Brauer, docente presso il Centro per la ricerca e l'istruzione sull'ottimizzazione dei medicinali dell'ateneo britannico, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver analizzato statisticamente i dati delle cartelle cliniche elettroniche – contenute nel database IQVIA Medical Research Data UK – di circa 270.000 uomini, tutti con un'età uguale o superiore ai 40 anni e con una diagnosi di disfunzione erettile ricevuta tra il 2000 e il 2017. L'età media era di 59 anni.

Fra essi il 55 percento aveva ricevuto prescrizioni mediche di inibitori della fosfodiesterasi di tipo 5 (PDE5), come il sopracitato citrato di sildenafil, il tadalafil e il vardenafil – principi attivi analoghi -, mentre il restante 45 percento non le aveva ricevute. La professoressa Brauer e colleghi hanno messo confronto le due coorti e verificato l'insorgenza dei sintomi dell'Alzheimer, come il declino cognitivo. Dall'indagine statistica sono stati esclusi tutti i pazienti “con una precedente diagnosi di demenza, deterioramento cognitivo, confusione, o la prescrizione per i sintomi della demenza”, come indicato nell'abstract dello studio.

Durante il periodo di follow-up, durato poco più di 5 anni, tra i 270.000 partecipanti sono stati registrati 1.119 casi di Alzheimer, 749 tra il gruppo che aveva assunto i farmaci contro la disfunzione erettile (con un tasso di 8,1 casi ogni 10.000 persone-anno) e 370 in quello senza farmaci (9,7 casi ogni 10.000 persone-anno). Tenendo in considerazione fattori di rischio noti per l'Alzheimer come età, consumo di alcol, vizio del fumo e altri ancora, i ricercatori sono giunti alla conclusione che chi assumeva il Viagra aveva il 18 percento in meno di rischio di sviluppare la demenza rispetto agli altri. Maggiori erano le prescrizioni nel corso dei 5 anni, superiore era il fattore protettivo contro l'Alzheimer. “Questi risultati sono incoraggianti e giustificano ulteriori ricerche”, ha spiegato la professoressa Brauer in un comunicato stampa.

Come indicato, si è trattato di uno studio di osservazione, dunque per avere la dimostrazione che il Viagra possa realmente ridurre il rischio di Alzheimer è necessario uno studio randomizzato, controllato con placebo e in doppio cieco, il gold standard della ricerca scientifica. “Sono necessarie ulteriori ricerche per confermare questi risultati, saperne di più sui potenziali benefici e meccanismi di questi farmaci ed esaminare il dosaggio ottimale. Uno studio randomizzato e controllato con partecipanti sia maschi che femmine è giustificato per determinare se questi risultati si applicherebbero anche alle donne”, ha chiosato la professoressa Brauer. I dettagli della ricerca “Phosphodiesterase Type 5 Inhibitors in Men With Erectile Dysfunction and the Risk of Alzheimer Disease” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Neurology.

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