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Covid 19

Il tasso di mortalità per Covid nei non vaccinati è 20 volte superiore rispetto a chi ha 3 dosi

I nuovi dati diffusi dai CDC e dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) mostrano chiaramente l’efficacia della vaccinazione anti Covid e della terza dose.
A cura di Andrea Centini
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I non vaccinati hanno un rischio di morire per Covid 20 volte superiore rispetto a chi ha fatto la terza dose di vaccino, mentre il rischio di risultare positivi al coronavirus SARS-CoV-2 è di 10 volte maggiore. Sono gli ultimi dati riportati nella piattaforma “COVID Data Tracker” dei Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie (CDC – Centers for Disease Control and Prevention), tra i principali enti di sanità pubblica degli Stati Uniti. I dati sono accompagnati da grafici di facile comprensione che mostrano la netta differenza nelle curve epidemiologiche tra chi si è immunizzato e chi no. È interessante notare che anche le due dosi del ciclo vaccinale di base restano comunque estremamente protettive dall'infezione del patogeno pandemico e soprattutto dalla sua forma letale: il rischio di contagio risulta infatti ridotto di 5 volte rispetto ai non vaccinati, mentre quello di morire per Covid è abbattuto di 14 volte.

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I tassi di contagio e decesso per Covid indicati dai CDC sono stati standardizzati per l'età dei pazienti, ma non al tempo trascorso dalla vaccinazione, alle potenziali patologie sottostanti (comorbilità) e ad altri fattori demografici. In parole semplici, si tratta di dati che riflettono l'efficacia dei vaccini anti Covid nella popolazione complessiva dai 18 anni in su. In generale le persone con un'età pari o superiore ai 65 anni hanno avuto un beneficio sensibilmente superiore nel ricevere la terza dose (booster o richiamo) rispetto a quelle nella fascia di età tra i 50 e i 64 anni. I dati americani sono analoghi a quelli condivisi dall'Istituto Superiore di Sanità (ISS) nell'ultimo rapporto sull'andamento della pandemia di COVID-19 nel nostro Paese, nel quale viene sottolineato che l'efficacia della terza dose nel prevenire la forma grave dell'infezione è pari al 97 percento, mentre per quanto concerne la diagnosi (positività al tampone oro-rinofaringeo) risulta una prevenzione dell'86 percento.

Il ciclo vaccinale di base con le due dosi resta comunque molto protettivo contro la COVID-19 grave; se completato da meno di 90 giorni, specifica l'ISS, l'efficacia rilevata è del 95,7 percento, mentre tra i 3 e i 4 mesi (91 – 120 giorni) si scende al 92,6 percento. Oltre i 4 mesi, l'efficacia contro la forma severa dell'infezione scende invece all'88 percento. Non a caso il Ministero della Salute ha autorizzato la possibilità di fare la terza dose di vaccino a 4 mesi dalla seconda, dopo averla inizialmente proposta a 6 e 5 mesi di distanza. Ricordiamo che il booster nel nostro Paese attualmente si può fare solo con vaccini a RNA messaggero (mRNA), ovvero il Comirnaty di Pfizer-BioNTech e lo Spikevax di Moderna, in attesa delle decisioni sul Novavax recentemente approvato dall'Agenzia Europea dei Medicinali (EMA).

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L'ISS evidenzia che l'efficacia del booster è particolarmente significativa nella fascia di età superiore agli 80 anni; nel periodo compreso tra il 5 novembre e il 5 dicembre dello scorso anno il tasso di mortalità per COVID-19 per chi aveva fatto la terza dose è stato di ben 64 volte inferiore rispetto ai non vaccinati. Per chi aveva completato il ciclo di base entro i quattro mesi il tasso di decesso era invece 10 volte inferiore rispetto ai non vaccinati. Tutti questi dati evidenziano chiaramente la fondamentale importanza della vaccinazione (e del booster) per proteggere se stessi e gli altri dall'infezione da coronavirus SARS-CoV-2, in un momento in cui a causa della circolazione della variante Omicron emersa in Sudafrica si stanno toccando nuovi record di contagi. Oltre un milione di italiani è a casa con un tampone risultato positivo, ma al momento ci sono ancora oltre 6,4 milioni di over 50 che non hanno ricevuto nemmeno la prima dose.

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