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Il diabete di tipo 1 di una donna curato per la prima volta con cellule riprogrammate per produrre insulina

Il diabete di tipo 1 è la forma di diabete in cui il sistema immunitario attacca le cellule beta del pancreas responsabili della produzione di insulina: per la prima volta, una donna di 25 anni è guarita grazie un’infusione di cellule della paziente stessa, prima convertite in cellule staminali e poi riprogrammate per produrre insulina.
A cura di Valeria Aiello
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Le cellule staminali (come quella in foto) possono essere utilizzate per far crescere qualsiasi tipo tessuto e possono essere coltivate in laboratorio, il che significa che offrono potenzialmente una fonte illimitata di qualsiasi tipo di cellule: utilizzando le cellule di una persona, prima convertite in staminali e poi riprogrammate per produrre insulina, i ricercatori stanno sperimentando una cura per il diabete / Photo Credit: iStock
Le cellule staminali (come quella in foto) possono essere utilizzate per far crescere qualsiasi tipo tessuto e possono essere coltivate in laboratorio, il che significa che offrono potenzialmente una fonte illimitata di qualsiasi tipo di cellule: utilizzando le cellule di una persona, prima convertite in staminali e poi riprogrammate per produrre insulina, i ricercatori stanno sperimentando una cura per il diabete / Photo Credit: iStock

Importante svolta nella cura del diabete di tipo 1 da una sperimentazione unica nel suo genere, che sta valutando la possibilità di invertire la malattia con cellule riprogrammate per produrre insulina. La prima paziente sottoposta a questo trattamento, una donna cinese di 25 anni, ha ricevuto l’infusione nel giugno 2023 e, dopo meno di tre mesi, ha iniziato a produrre insulina a livelli tali che da non dover più effettuare iniezioni. È prima persona al mondo con diabete di tipo 1 – la forma di diabete in cui il sistema immunitario attacca le cellule beta del pancreas – ad essere stata curata utilizzando cellule ottenute da tessuti della paziente stessa, prima convertite in staminali e poi riprogrammate per produrre insulina. “Ora posso mangiare lo zucchero” ha affermato la 25enne che vive nella città di Tianjing, a circa mezz’ora di treno da Pechino.

A più un anno dal trattamento, i ricercatori hanno riportato i primi risultati dell’operazione in uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Cell: il trattamento, che esperti non coinvolti nella sperimentazione hanno definito “sbalorditivo, fa seguito a un traguardo analogo raggiunto da un diverso team di ricerca a Shanghai, che ad aprile ha riferito di aver curato un paziente di 59 anni con diabete di tipo 2 con un’infusione di cellule staminali riprogrammate, utilizzando anche in questo caso cellule ottenute da tessuti dell’uomo. Nel caso del 59enne, la diversa forma di diabete (tipo 2, detto anche diabete dell’adulto, in cui l’organismo non produce abbastanza insulina o la sua capacità di utilizzare l’ormone diminuisce) è anche la più diffusa, rappresentando il 90% dei casi; nel diabete di tipo 1, chiamato anche diabete giovanile, la produzione di insulina è invece fortemente ridotta o del tutto carente a causa della distruzione delle cellule beta del pancreas dovuta a una risposta autoimmune.

Cos’è la cura del diabete con staminali riprogrammate per produrre insulina

La cura del diabete con cellule staminali riprogrammate per produrre insulina è un trattamento sperimentale che si basa su un’infusione di cellule ottenute dai tessuti del paziente, convertite in staminali e poi utilizzate per far crescere nuovi “isolotto” di cellule, che contengono cellule beta che producono insulina.

Nella prima sperimentazione per il trattamento del diabete di tipo 1, che ha coinvolto una donna cinese di 25 anni, l’infusione è durata meno di mezz’ora, durante la quale sono stati introdotti circa 1,5 milioni di isolotti nei muscoli addominali, quale come nuovo sito individuato per questo tipo di trapianto.

La maggior parte degli isolotti viene solitamente iniettata nel fegato, dove le cellule non possono essere osservate. Ma posizionandole nell’addome, i ricercatori hanno potuto monitorare le cellule utilizzando la risonanza magnetica e potenzialmente rimuoverle se necessario –  precisa un articolo sulla sperimentazione pubblicato su Nature – . Le cellule staminali possono essere utilizzate per far crescere qualsiasi tessuto nel corpo e possono essere coltivate indefinitamente in laboratorio, il che significa che offrono potenzialmente una fonte illimitata di tessuto pancreatico. Utilizzando tessuto ricavato dalle cellule di una persona, i ricercatori sperano anche di evitare la necessità di immunosoppressori”.

Il caso della donna guarita dal diabete di tipo 1

La prima persona con diabete di tipo 1 ad aver ricevuto cellule staminali riprogrammate per produrre insulina è una donna di 25 anni che vive Tianjing, in Cina, che ha chiesto di rimanere anonima per proteggere la sua privacy. Due mesi e mezzo dopo l’infusione, la donna ha mostrato di produrre quantità di insulina tali che da non necessitare più di iniezioni, mantenendo quel livello di produzione di insulina per più di un anno.

La donna non ha più avuto picchi e cali nei livelli di glucosio nel sangue, che sono rimasti entro i livelli di guardia per oltre il 98% della giornata. “È davvero notevole – ha commentato il professor Daisuke Yabe, ricercatore del diabete presso l’Università di Kyoto che non è stato coinvolto nello studio – . Se questo (trattamento, ndr) sarà applicabile ad altri pazienti, sarà meraviglioso”.

I primi risultati sono intriganti, ma devono essere replicati su più persone” ha osservato anche il professor Jay Skyler, un endocrinologo presso l’Università di Miami, Florida, che studia il diabete di tipo 1, ritenendo che sarà necessario attendere ancora del tempo per verificare se le cellule della donna continueranno a produrre insulina (un massimo di cinque anni, prima di considerarla “guarita”).

Poiché la donna stava già ricevendo immunosoppressori per un precedente trapianto di fegato, i ricercatori non hanno potuto valutare se le staminali riprogrammate, ottenute come detto da cellule della paziente stessa, abbiano ridotto il rischio di rigetto. “Anche se il corpo non rigetta il trapianto perché non considera le cellule come ‘estranee’, nelle persone con diabete di tipo 1, che hanno una condizione autoimmune, c’è comunque il rischio che il corpo possa attaccare le isole – hanno evidenziato gli esperti – . Nella donna, questo non è stato osservato, a causa degli immunosoppressori, ma ci sono buone probabilità che nuove ricerche possano portare allo sviluppo di cellule che possono eludere anche questa risposta autoimmune”.

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