Il coronavirus può sviluppare resistenza ai farmaci anti Covid: cosa significa e quali sono i rischi
Il coronavirus SARS-CoV-2, il virus responsabile della pandemia di COVID-19, può sviluppare resistenza ai farmaci antivirali Nirmatrelvir e Remdesivir, considerati particolarmente preziosi per combattere l'infezione nella popolazione a rischio di gravi complicazioni. Il primo, assieme al Ritonavir, è un principio attivo alla base del Paxlovid, la pillola anti Covid di Pfizer che ha dimostrato di poter abbattere in modo significativo il rischio di malattia grave e morte; il secondo è alla base della prima terapia antivirale approvata contro la COVID-19, che venne impiegata anche per curare l'ex Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, attuale candidato alla presidenza dei repubblicani.
Fortunatamente, secondo i risultati di un nuovo studio, le mutazioni del virus in grado di innescare resistenza a questi farmaci si sono rilevate a bassa frequenza e temporanee; secondo gli esperti, pertanto, si ritiene improbabile che possano diffondersi nella popolazione generale riducendo l'efficacia delle terapie antivirali. Ciò nonostante, tali mutazioni erano relativamente comuni e presenti soprattutto nei pazienti immunodepressi, pertanto l'evoluzione del virus dovrà essere tenuta sotto stretto controllo, anche alla luce del continuo emergere di nuove varianti (l'ultima è la XEC).
A determinare che i farmaci anti Covid Nirmatrelvir e Remdesivir possono innescare resistenza ai farmaci è stato un team di ricerca statunitense guidato da scienziati del Brigham and Women Hospital, che hanno collaborato con i colleghi di vari istituti Tra quelli coinvolti il Massachusetts Institute of Techonology (MIT), l'Università di Harvard, il Centro medico dell'Università di Pittsburgh, l'Istituto Broad di Cambridge e altri. I ricercatori coordinati dal professor Trevor J. Tamura sono giunti alle loro conclusioni dopo aver analizzato i casi di 156 persone coinvolte nello studio Post-Vaccination Viral Characteristics Study (POSITIVES). I partecipanti erano in maggioranza donne (114, 73,1 percento del totale) e l'età media era di 56 anni. In 79 hanno ricevuto il Nirmatrelvir, in 14 il Remdesivir e in 63 non hanno ricevuto alcun farmaco antivirale. In genere i pazienti che hanno ricevuto il Nirmatrelvir erano più anziani e più immunodepressi; non c'è da stupirsi, dato che la terapia a base di Paxlovid è il trattamento antivirale preventivo di elezione contro la COVID-19 (anche se non tutti possono farlo anche a causa dell'interazione con altri farmaci). Ricordiamo che il Paxlovid si assume in pillole (oralmente), mentre il Remdesivir è somministrato tramite infusione endovenosa. Entrambi i farmaci puntano ad abbattere la replicazione virale, in primo come inibitore della proteasi, mentre il secondo agisce contro la RNA polimerasi del virus.
I ricercatori hanno eseguito tamponi oro-rinofaringei a tutti i partecipanti per ottenere l'RNA del coronavirus SARS-CoV-2 e verificare la presenza di mutazioni in grado di innescare resistenza agli antivirali. A seguito del sequenziamento dell'RNA virale sono state osservate mutazioni di resistenza al Nirmatrelvir in 9 soggetti che avevano ricevuto il suddetto farmaco (11,4 percento) e in 2 di quelli che non erano stati sottoposti ad alcun trattamento (3,2 percento). La frequenza di tali mutazioni era più elevata nei soggetti immunodepressi (22,7 percento). In alcuni casi è stato osservato il cosiddetto “rimbalzo virologico”, ovvero il virus è tornato rilevabile nei tamponi dopo essere scomparso, sia in chi aveva assunto il Nirmatrelvir (13 percento) che ne gruppo dei non trattati (10,7 percento). La stragrande maggioranza di queste mutazioni (10 su 11) è stata rilevata a bassa frequenza e soprattutto sono tutte scomparse dopo un certo periodo di tempo; in altri termini, erano sparite dal corredo genetico del virus, che era tornato al suo stato originale. Per quanto concerne il Remdesivir, le mutazioni di resistenza sono state osservate solo in due pazienti (14,3 percento) con acclarata compromissione immunitaria; anche in questo caso erano a bassa frequenza e temporanee.
“In questo studio di coorte di 156 partecipanti, sono state comunemente rilevate mutazioni di resistenza al Nirmatrelvir emergenti dal trattamento, specialmente in individui immunodepressi. Tuttavia, queste mutazioni erano generalmente presenti a basse frequenze ed erano di natura transitoria, il che suggerisce un basso rischio di diffusione della resistenza al Nirmatrelvir nella comunità con le attuali varianti e modelli di utilizzo del farmaco”, hanno spiegato il professor Tamura e colleghi nell'abstract dello studio. I dettagli della ricerca “Emerging SARS-CoV-2 Resistance After Antiviral Treatment” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica JAMA.