Il caffè espresso blocca i grumi di proteine associati all’Alzheimer in test di laboratorio
Ricercatori italiani hanno determinato che la caffeina e altre sostanze presenti nel caffè espresso sono in grado di impedire la formazione di grovigli di proteina tau. Assieme a quelli di beta amiloide, i grumi della proteina tau sono intimamente associati alla neurodegenerazione e al morbo di Alzheimer, la principale forma di demenza al mondo che entro il 2050 si stima colpirà circa 150 milioni di persone. Non sono chiari i meccanismi biologici che legano tali grovigli alla morte dei neuroni e al declino cognitivo che ne consegue, ma lo studio di queste proteine “appiccicose” e il loro contrasto è considerato fondamentale nella lotta all'Alzheimer. Non a caso i farmaci in grado di rallentare la progressione della malattia si basano proprio su questo principio di azione. È importante sottolineare che gli scienziati italiani hanno osservato l'efficacia della caffeina e degli altri composti del caffè in test di laboratorio, non in trial clinici (cioè nella sperimentazione sull'uomo). Ciò significa che non è stata osservata alcuna correlazione tra il consumo di caffè e la riduzione dei grovigli di tau. Ma la scoperta è comunque significativa perché potrebbe portare a nuovi farmaci e terapie per contrastare la patologia, che ha un impatto sanitario, sociale ed economico devastante (e non solo per i pazienti).
A scoprire che la caffeina e altri composti presenti nel caffè espresso sono in grado di ostacolare la formazione di grovigli di proteina tau in test di laboratorio è stato un team di ricerca italiano composto da scienziati del Dipartimento di Biotecnologia dell'Università di Verona. I ricercatori, coordinati dalla professoressa Mariapina D'Onofrio, hanno gettato le basi della propria indagine a partire dai risultati di altre ricerche, nelle quali è stato dimostrato che il consumo di caffè può offrire una certa protezione dalla patologia neurodegenerativa. Nel 2018, ad esempio, scienziati canadesi dell'Istituto di Ricerca Krembil della University Health Network e dell'Università di Toronto hanno determinato che composti chiamati fenilindani (derivati dalla tostatura) hanno la capacità di impedire la formazione dei grovigli delle proteine tau e beta amiloide. Nel 2021 una ricerca condotta da studiosi della Edith Cowan University di Joondalup (Australia) hanno invece osservato che un maggior consumo di caffè era associato a risultati migliori nei test cognitini, in particolar modo nella nella funzione esecutiva che è legata ad attenzione, autocontrollo e pianificazione. Sono diversi i risultati di indagini che hanno fatto emergere associazioni positive.
Così la professoressa D'Onofrio e i colleghi hanno deciso di caratterizzare i composti chimici principali del caffè con una tecnica chiamata Spettroscopia di risonanza magnetica nucleare (NMR) e di testarli – assieme all'estratto – in esperimenti in vitro e su colture cellulari. Nello specifico è stato utilizzato caffè macinato a tostatura media derivato da una miscela di caffè Arabica del Sud America e caffè Robusta dell'Africa e dell'Asia sudoccidentale, mentre l'estratto di espresso è stato ottenuto da 15 grammi di polvere attraverso una macchina per il caffè, come spiegato nello studio. Tra i composti molecolari testati, oltre alla caffeina, anche l'isoflavonico genisteina, la teobromina e l'alcaloide trigonellina. Dopo aver esposto la proteina tau a questi composti molecolari i ricercatori hanno osservato che ad una concentrazione di 50 μg/mL essi hanno “effetti moderati sulla formazione di fibrille”, mentre a concentrazioni elevate la caffeina e la genisteina hanno una forte capacità di interferire con la formazione di aggregati della proteina appiccicosa. L'estratto di caffè era in grado di compromettere la formazione di fibrille lunghe anche a basse concentrazioni, mentre quelle elevate “interferivano fortemente”.
Questi risultati indicano che i composti chimici presenti nel caffè espresso hanno la capacità di ostacolare la formazione dei grumi di proteine tau in test di laboratorio, tuttavia non sappiamo se sia questo il processo a favorire la protezione dall'Alzheimer associata al consumo di caffè osservata in altri studi. Anche perché le sostanze vengono sottoposte a trasformazioni metaboliche prima di arrivare a superare la barriera emato-encefalica (quelle che possono) e giungere al tessuto cerebrale, ma è chiaro che si tratta di risultati promettenti che necessitano di ulteriori approfondimenti. Da queste basi potrebbero essere sviluppati nuovi farmaci in grado di rallentare il declino cognitivo; su questo fronte ricordiamo la recente approvazione dell'anticorpo monoclonale donanemab di Ely Lilli, che ha rallentato del 35 percento il declino cognitivo in pazienti con Alzheimer sintomatico (con lieve demenza) in studi di Fase 3. Ovviamente prima di consumare il caffè è sempre doveroso parlare col proprio medico, viste le controindicazioni di questa sostanza. I dettagli della ricerca italiana “Espresso Coffee Mitigates the Aggregation and Condensation of Alzheimer′s Associated Tau Protein” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Journal of Agricultural and Food Chemistry.