Il buco nero “cresciuto troppo in fretta” è un mistero: nessuno sa perché sia milioni di volte più massiccio del Sole
Un buco nero, appena scoperto nella giovane galassia GN-z11, nella costellazione dell’Orsa Maggiore, sembra non trovare una spiegazione: la sua massa, di circa 1,6 milioni di volte quella del Sole, è di gran lunga più grande di quella che avrebbe dovuto avere se questo corpo celeste si fosse formato quando è stata creata la galassia che lo ospita e che, secondo le stime degli studiosi, risale a quando l’Universo aveva appena 420 milioni di anni dopo il Big Bang (circa il 3% della sua età attuale). Ciò significa, il buco nero di GN-z11 non avrebbe rispettato quello che gli esperti chiamano il limite fisico della velocità di accrescimento dei buchi neri, essendo impossibile – per quanto ne sappiamo – che abbia potuto aumentare così tanto la sua massa in così poco tempo.
Il mistero del buco nero d GN-z11
GN-z11 è una delle galassie più lontane dalla Terra mai scoperte, circa 25 volte più piccola della nostra via Lattea e seconda per distanza solo a Jades GS-z13-0, una galassia identificata nel 2022 dal telescopio spaziale James Webb. Eccezionalmente luminosa, GN-z11 deve il suo nome alla sua posizione (Goods-Nord) e al suo elevato redshift (GN + z11): di lei sappiamo che esisteva appena 420 milioni di anni dopo il Big Bang – dal momento che la sua luce viaggia per 13,4 miliardi di anni luce prima di raggiungerci – e che ha una massa che è pari all’1% di quella della Via Lattea, pur formando nuove stelle circa venti volte più velocemente.
Da una recente analisi del suo spettro, avvenuta sempre grazie alle osservazioni del telescopio James Webb, è però emerso che oltre alla precoce formazione stellare, la galassia GN-z11 ospita anche un buco nero che ha una massa di circa 1,6 milioni quella del nostro Sole, il che ha sollevato una serie di interrogativi su come sia possibile che una galassia così piccola ospiti un buco nero così massiccio e come questo buco nero abbia potuto accrescere talmente tanto la sua massa in un tempo così breve.
La scoperta di un buco nero così massiccio all’interno di una galassia in proporzione così piccola e giovane “è stata la cosa più inaspettata – ha affermato il professor Roberto Maiolino, astrofisico dell’Università di Cambridge e primo autore della ricerca disponibile in preprint su ArXiv – . Ciò è difficile da conciliare con molti modelli di formazione”.
Perché GN-z11* è diverso dagli altri buchi neri supermassicci
I buchi neri sono tra i corpi celesti più enigmatici e inquietanti dell’Universo: hanno un campo gravitazionale così intenso che, una volta varcato il loro confine nulla può uscirne, nemmeno la luce. In altre parole, tutto ciò che oltrepassa questo confine, chiamato orizzonte degli eventi, se ne va per sempre.
Dove? La teoria della relatività generale di Einstein suggerisce che al centro di un buco nero la densità diventerebbe infinita, creando una singolarità gravitazionale. Questa rottura nello spaziotempo non avrebbe “dove” o “quando” e si collocherebbe oltre il regno delle leggi convenzionali della fisica. Non è però chiaro se tali singolarità esistano effettivamente.
I buchi neri sono difficili da studiare perché essenzialmente invisibili, ma possono essere osservati attraverso i loro effetti sullo spazio circostante, come il gradiente gravitazionale estremo a cui viene sottoposta la materia prima di essere inghiottita, che viene stirata in tutta la sua lunghezza, in un processo chiamato “spaghettizzazione”.
Rispetto però ad altri buchi neri con masse di diversi milioni di volte quella del nostro Sole – come ad esempio il buco nero al centro della Via Lattea, Sagittarius A* – che ha una massa di circa 4,6 milioni di volte quella del Sole e un’età simile a quella della nostra galassia (13,6 miliardi di anni) – l’esistenza di buchi neri supermassicci nell’Universo primordiale rappresenta un mistero per gli astrofisici, in quanto non è chiaro come abbiano potuto raggiungere massi così importanti subito dopo il Big Bang.
Un’ipotesi sulla formazione di questi buchi neri “fuori misura” suggerisce che siano nati già grandi – forse per il collasso diretto di vaste nubi di gas, oppure da stelle collassate sotto la loro stessa gravità alla fine della loro vita – per cui avrebbero impiegato meno tempo per crescere. Questo sarebbe il caso del buco nero di UHZ1, che detiene il record per essere il più massiccio mai osservato, con una massa compresa tra le 10 e 100 milioni di volte quella del nostro Sole.
Un’altra spiegazione dell’esistenza di questi buchi neri supermassicci è che siano cresciuti molto rapidamente in tempi precoci, forse perché ammassi compatti di stelle e buchi neri si sono fusi molto velocemente nell’Universo primordiale.
Una terza ipotesi, più speculativa, sull’esistenza di questi buchi neri primordiali è che si siano formati durante l’inflazione cosmica, un periodo di espansione dell’universo più veloce della luce, avvenuto una frazione di secondo dopo il Big Bang. Se fosse così, la loro origine avrebbe profonde implicazioni su cosa sia realmente accaduto nei primi istanti di vita dell’Universo: alcuni buchi neri potrebbero essersi formati prima delle galassie che li ospitano, il che capovolgerebbe il presunto ordine logico secondo cui le galassie si originerebbero prima dei buchi neri, che solo dopo inizierebbero a crescere al loro interno.