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Rilevata coscienza “nascosta” nel 25% di pazienti in coma e altri stati non responsivi

Un team di ricerca internazionale ha scoperto che attraverso specifiche scansioni cerebrali è possibile rilevare una coscienza “occulta” nel 25 percento dei pazienti non responsivi con gravi lesioni cerebrali. In pratica, riescono a capire e rispondere alle istruzioni nel pensiero, anche se il loro corpo non reagisce. La scoperta può fare una differenza enorme nell’assistenza clinica e nello spegnimento delle macchine per il supporto vitale.
A cura di Andrea Centini
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Dopo un incidente stradale, una brutta caduta o un evento cardiovascolare improvviso – come un arresto cardiaco – le persone possono sviluppare gravi lesioni cerebrali che sfociano nel coma, nello stato vegetativo e altri disturbi della coscienza. Un nuovo studio ha dimostrato che il 25 percento delle persone con gravi lesioni cerebrali che non risultano responsive, ovvero che non rispondono alle sollecitazioni dei medici, in realtà hanno una coscienza “nascosta” che può essere rilevata attraverso approfondite scansioni cerebrali. Ciò significa che sono in grado di ascoltare e capire perfettamente gli stimoli dell'ambiente circostante, ma non possono rispondere fisicamente.

Questa condizione particolare, in cui le capacità cognitive sono presenti ma l'organismo non è in grado di seguirle, viene chiamata dagli scienziati dissociazione cognitivo-motoria (CMD). In parole semplici è una rottura del collegamento tra mente e corpo. Viene studiata da alcuni decenni e fino ad oggi si pensava che interessasse tra il 10 e il 15 percento dei pazienti con gravi lesioni cerebrali. Ora lo studio più approfondito di sempre su questo delicatissimo tema ha determinato che in realtà si trova in questo stato fino al 25 percento dei pazienti. Ad oggi mancano procedure standardizzate per definire clinicamente la dissociazione cognitivo-motoria, ma gli esperti di rianimazione sottolineano l'importanza di introdurle, vista la differenza enorme che possono fare nella gestione clinica. C'è addirittura il rischio di staccare le macchine del supporto vitale troppo presto a persone che in realtà sono perfettamente coscienti dell'ambiente circostante, pur risultando non responsive. Gli autori dello studio indicano che i medici hanno l'obbligo di provare a entrare in contatto con queste persone e assisterle nel miglior modo possibile.

A determinare che il 25 percento dei pazienti con lesioni cerebrali gravi e non responsivi presenta in realtà una coscienza rilevabile attraverso specifici esami è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati statunitensi dello Spaulding Rehabilitation Hospital e dell'Athinoula A. Martinos Center for Biomedical Imaging del Massachusetts General Hospital (B.L.E.), che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi di molteplici istituti. Fra quelli coinvolti la Scuola di Medicina dell'Università di Harvard, il Wolfson Brain Imaging Centre dell'Università di Cambridge, l'Ospedale universitario di Liegi, l'Università Sorbona di Parigi, il Consciousness Science Institute della Hangzhou Normal University e diversi altri. I ricercatori, coordinati dalla dottoressa Yelena Bodien del Dipartimento di Medicina Fisica e Riabilitazione presso il nosocomio americano, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver analizzato le scansioni cerebrali di 241 pazienti con gravi lesioni cerebrali e nessuna risposta quando ricevevano dei comandi.

I partecipanti, alcuni entrati da poco nei reparti di terapia intensiva e altri con lesioni da mesi, sono stati sottoposti sia a risonanza magnetica funzionale (fMRI) che elettroencefalografia (EEG) per la valutazione. I medici hanno chiesto loro di immaginare di aprire e chiudere la mano e, dopo una trentina di secondi, di smettere di immaginare questo movimento. Attraverso le scansioni cerebrali è emerso che 60 dei 241 pazienti, cioè il 25 percento, stava seguendo correttamente queste istruzioni. Quindi anche se sembravano totalmente non rispondenti, in realtà eseguivano le richieste dei medici. Erano dunque nello stato di dissociazione cognitivo-motoria (CMD). Il risultato suggerisce che attraverso esami incrociati e più approfonditi può emergere una coscienza occulta in individui che non risultano non responsivi; ciò può fare una differenza enorme anche dal punto di vista dell'assistenza clinica.

“Alcuni pazienti con gravi lesioni cerebrali non sembrano elaborare il loro mondo esterno. Tuttavia, quando vengono valutati con tecniche avanzate come fMRI ed EEG basate su attività, possiamo rilevare attività cerebrale che suggeriscono il contrario. Questi risultati sollevano questioni etiche, cliniche e scientifiche critiche, come ad esempio come possiamo sfruttare quella capacità cognitiva invisibile per stabilire un sistema di comunicazione e promuovere un ulteriore recupero?”, ha dichiarato la dottoressa Bodien in un comunicato stampa. Secondo gli esperti è fondamentale riuscire a determinare la dissociazione cognitivo-motoria con tutti gli strumenti necessari e standardizzare la procedura.

“Non riuscire a rilevare la dissociazione cognitivo-motoria può avere gravi conseguenze, tra cui la sospensione prematura del supporto vitale, la mancata rilevazione di segnali di consapevolezza e la mancanza di accesso alla riabilitazione intensiva”, ha chiosato la dottoressa Bodien. “Abbiamo scoperto che questo tipo di netta dissociazione delle capacità cognitive mantenute e nessuna prova comportamentale delle stesse non è rara. Penso che ora abbiamo l'obbligo etico di impegnarci con questi pazienti, per cercare di aiutarli a connettersi con il mondo”, le ha fatto eco il coautore dello studio Nicholas Schiff. I dettagli della ricerca “Cognitive Motor Dissociation in Disorders of Consciousness” sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica The New England Journal of Medicine.

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