IA migliora drasticamente la prima immagine di un buco nero (e ci aiuta a capirlo meglio)
Esattamente 4 anni fa gli scienziati del progetto di ricerca internazionale Event Horizon Telescope (EHT) pubblicarono la prima, storica immagine di un buco nero. Nello specifico, si trattava del buco nero supermassiccio sito nel cuore della galassia ellittica M87, a 55 milioni di anni luce dalla Terra. Quell'immagine fece il giro del mondo ed entrò di diritto tra le pietre miliari della ricerca scientifica, mostrando per la prima volta che i buchi neri sono effettivamente come li abbiamo sempre immaginati. Ottenere quello “scatto” fu una vera e propria impresa, che coinvolse numerosi scienziati e potentissimi radiotelescopi sparsi ai quattro angoli della Terra. I 5 petabyte di dati raccolti furono tradotti in un software nell'immagine sfocata che tutti noi conosciamo; oggi, grazie all'ausilio di una nuova intelligenza artificiale chiamata PRIMO, gli stessi dati sono stati rielaborati e hanno dato vita a un'immagine molto più fedele, dettagliata e a risoluzione superiore della precedente, con caratteristiche differenti che aiutano a comprendere meglio la natura di questi misteriosi “cuori di tenebra”. In parole semplici, con questa IA si fa una scienza migliore.
A sviluppare e testare l'innovativo modello di apprendimento automatico (IA) che ha permesso di ottenere la nuova immagine del buco nero di M87 è stato un team di ricerca statunitense composto da quattro esperti del progetto EHT: Lia Medeiros della Scuola di Scienze Naturali presso l'Institute for Advanced Study di Princeton; Dimitrios Psaltis dello Steward Observatory e Dipartimento di Astronomia Università dell'Arizona; Tod Lauer della Facoltà di Fisica presso il Georgia Institute of Technology e Feryal Ozel del National Optical Infrared Astronomy Research Laboratory (NOIR Lab). Per comprendere cosa hanno fatto, è doveroso spiegare brevemente come fu catturata l'immagine originale, attraverso un metodo chiamato interferometria. I sette grandi radiotelescopi che hanno puntato la galassia Messier 87 (o M87) sono stati utilizzati per simulare un gigantesco radiotelescopio grande come tutta la Terra; sebbene efficace, i dati raccolti con questa tecnica hanno delle lacune – derivati dalla distanza fisica fra gli strumenti – che vanno colmati con l'interferometria. In parole semplici, per colmare queste lacune è stato creato un algoritmo molto più efficace e potente di quello utilizzato per costruire la prima immagine.
PRIMO, acronimo di principal-component interferometric modeling, si basa su un modello di IA chiamato “dictionary learning”, che viene addestrato osservando migliaia di esempi di una determinata cosa per creare schemi e “capire” come funziona. Nel caso dei buchi neri, a PRIMO sono state presentate circa 30mila immagini simulate di buchi neri attivi, per comprendere come elaborare al meglio i dati reali raccolti dai radiotelescopi dell'ETH. Finito il processo di addestramento è stato alimentato con i 5 petabyte di dati raccolti nel 2017 in quattro giorni di osservazioni, dando vita a un'immagine un po' diversa da quella balzata agli onori della cronaca internazionale nel 2019. “Con la nostra nuova tecnica di apprendimento automatico, PRIMO, siamo stati in grado di ottenere la massima risoluzione dell'array attuale”, ha dichiarato la dottoressa Medeiros in un comunicato stampa. “Poiché non possiamo studiare i buchi neri da vicino, i dettagli in un'immagine giocano un ruolo fondamentale nella nostra capacità di comprenderne il comportamento. La larghezza dell'anello nell'immagine è ora più piccola di circa un fattore due, il che sarà un potente vincolo per i nostri modelli teorici e test di gravità”, ha chiosato l'esperta.
L'immagine del materiale che vortica attorno all'orizzonte degli eventi del buco nero è infatti molto più sottile di quella osservata in passato, pur restando perfettamente fedele alle previsioni teoriche. Grazie ad essa è ad esempio possibile capire meglio l'ambiente gravitazionale attorno al buco nero di M87, la cui massa è 6,5 miliardi di volte quella del Sole. “PRIMO è un nuovo approccio al difficile compito di costruire immagini dalle osservazioni EHT”, ha dichiarato il dottor Lauer. “Fornisce un modo per compensare le informazioni mancanti sull'oggetto osservato, necessarie per generare l'immagine che sarebbe stata vista utilizzando un singolo gigantesco radiotelescopio delle dimensioni della Terra”, ha aggiunto l'esperto. “L'immagine del 2019 è stata solo l'inizio. Se un'immagine vale più di mille parole, i dati alla base di quell'immagine hanno molte più storie da raccontare. PRIMO continuerà a essere uno strumento fondamentale per estrarre tali intuizioni”, ha chiosato la dottoressa Medeiros. Probabilmente il prossimo obiettivo di PRIMO sarà Sagittarius A*, il buco nero supermassiccio nel cuore della nostra galassia, la Via Lattea, del quale l'ETH ci ha regalato una prima immagine a maggio del 2022. I dettagli della ricerca “The Image of the M87 Black Hole Reconstructed with PRIMO” sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica specializzata The Astrophysical Journal Letters.