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I viaggi verso Marte sono mortali, secondo un nuovo studio: il motivo per cui (forse) non ci andremo

Un nuovo studio ha determinato che le lunghe missioni spaziali su Marte possono avere esiti catastrofici sulla salute degli astronauti. Oltre ai rischi già noti di cancro, malattie cardiovascolari e perdita di massa ossea, un nuovo studio ha fatto emergere un’altra conseguenza mortale.
A cura di Andrea Centini
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Credit: NASA
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Secondo un nuovo studio, i lunghi viaggi verso Marte potrebbero essere mortali a causa dei danni irreversibili provocati ai reni. La combinazione di radiazioni e microgravità per un periodo così prolungato – si parla di anni tra andata e ritorno – avrebbe, infatti, un effetto catastrofico sulle delicatissime strutture di questi organi, in particolar modo sui tubuli, che verrebbero alterati e danneggiati sino alla completa perdita della funzione filtrante. È quanto emerso da un'approfondita indagine nella quale sono stati analizzati i dati clinici degli astronauti impegnati in missioni nell'orbita bassa terrestre – ad esempio sulla Stazione Spaziale Internazionale – e quelli di esperimenti condotti con modelli murini (topi e ratti). Gli studiosi ritengono che un astronauta al rientro sulla Terra potrebbe aver bisogno della dialisi per sopravvivere, una scoperta che rende ancor più complicata la conquista del Pianeta Rosso, attualmente considerato il più ambizioso obiettivo della rinnovata corsa allo spazio.

A determinare che i viaggi verso Marte provocano danni devastanti ai reni è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati britannici del Dipartimento di Medicina Renale dello University College di Londra, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi di molteplici enti e istituti. Fra quelli coinvolti, l'Istituto di Scienze Biomediche (IBS) dell'Università George Washington, l'Istituto di Biomedicina Computazionale del Weill Cornell Medical College, la NASA e molti altri. I ricercatori, coordinati dal dottor Keith Siew del London Tubular Centre presso l'ateneo inglese, hanno analizzato i dati sulla funzionalità renale di astronauti coinvolti in quaranta missioni spaziali e condotto esperimenti di simulazione spaziale con i roditori.

È noto da tempo che l'esposizione al vento solare proveniente dalla nostra stella e alla Radiazione Cosmica Galattica (GCR) che giunge dallo spazio profondo può essere molto pericolosa per gli astronauti. Uno studio dell’Università Georgetown di Washington finanziato dalla NASA, ad esempio, ha dimostrato che gli ioni pesanti presenti nei raggi cosmici (come ferro e silicio) sono in grado di provocare danni irreversibili all'intestino e innescare il cancro, mentre una ricerca sul sangue di 14 astronauti che hanno volato a bordo dello Space Shuttle ha rilevato mutazioni associate a malattie oncologiche e cardiovascolari. Non vanno dimenticati nemmeno i decenni di massa ossea persi durante le lunghe missioni sulla ISS a causa della microgravità, che vengono recuperati solo dalla metà degli astronauti entro un anno dal rientro sulla Terra. I danni letali ai reni sarebbero dovuti a un mix di radiazioni e microgravità. Era già noto che gli astronauti fossero a rischio di calcoli renali, a causa della perdita di massa ossea che si traduce in un eccesso di calcio nelle urine. Il nuovo studio si è soffermato sull'impatto delle radiazioni.

Attraverso analisi biomolecolari, valutazioni biochimiche e morfometriche è emerso che la radiazione cosmica e solare è in grado di alterare i tubuli renali degli astronauti e dei roditori, favorendone il restringimento dopo meno di un mese di permanenza nello spazio. Queste strutture giocano un ruolo fondamentale negli equilibri elettrolitici, nella filtrazione e nella pulizia del sangue, pertanto i danni possono avere esiti gravissimi. È doveroso sottolineare che questi dati sono relativi all'orbita bassa terrestre, dove è ancora forte lo scudo protettivo del campo magnetico terrestre, in grado di schermare larga parte della radiazione pericolosa. Proprio per questo i ricercatori hanno voluto condurre test di simulazione spaziale, esponendo topi a concentrazioni di GCR paragonabili a quelle prese in missioni su Marte della durata di 1,5 e 2,5 anni. Ebbene, i roditori hanno avuto conseguenze irreversibili sulla funzionalità renale, il destino che molto probabilmente attenderebbe anche gli astronauti in viaggio verso il Pianeta Rosso.

"Sappiamo cosa è successo agli astronauti nelle missioni spaziali relativamente brevi condotte finora, in termini di aumento dei problemi di salute come i calcoli renali. Ciò che non sappiamo è il motivo per cui si verificano questi problemi, né cosa accadrà agli astronauti sui voli più lunghi, come la proposta missione su Marte", ha dichiarato il dottor Siew in un comunicato stampa. "Se non sviluppiamo nuovi modi per proteggere i reni, direi che mentre un astronauta potrebbe arrivare su Marte, potrebbe aver bisogno di dialisi sulla via del ritorno. Sappiamo che i reni tardano a mostrare segni di danno da radiazioni; nel momento in cui ciò diventa evidente, probabilmente è troppo tardi per evitare l'insufficienza, il che sarebbe catastrofico per le possibilità di successo della missione", ha chiosato l'esperto.

L'obiettivo dei ricercatori è progettare farmaci ad hoc per proteggere i reni dalle prolungate missioni spaziali nello spazio oltre l'orbita bassa terrestre, che potrebbero essere utili anche sulla Terra, ad esempio aumentando la tolleranza ai farmaci chemioterapici. I dettagli della ricerca "Cosmic kidney disease: an integrated pan-omic, physiological and morphological study into spaceflight-induced renal dysfunction" sono stati pubblicati su Nature Communications.

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