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Covid 19

I pazienti Covid hanno un rischio maggiore di coaguli di sangue fino a 6 mesi dal contagio

Confrontando le cartelle cliniche di milioni di persone è stato determinato che i pazienti Covid hanno un rischio superiore di gravi coaguli di sangue per mesi.
A cura di Andrea Centini
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I pazienti che hanno avuto la COVID-19, la malattia provocata dal coronavirus SARS-CoV-2, hanno un rischio maggiore di sviluppare gravi coaguli di sangue entro sei mesi dall'infezione. Ad aumentare sono infatti le probabilità di trombosi venosa profonda, embolia polmonare e sanguinamento a seguito della formazione di trombi. Il tromboembolismo è una delle complicazioni note della patologia infettiva, che può innescarsi a causa dei danni ai vasi sanguigni o dei processi infiammatori. Secondo il nuovo studio tale rischio è risultato più significativo per le persone che sono state ricoverate in ospedale e per chi ha contratto l'infezione durante la prima fase della pandemia, quando le cure disponibili erano meno specializzate, le conoscenze sulla COVID-19 erano minori e soprattutto non c'erano ancora a disposizione i vaccini.

A determinare che i pazienti Covid hanno un rischio superiore di gravi coaguli di sangue entro sei mesi dall'infezione è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati svedesi dell'Università di Umea, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi della Scuola di Matematica e Statistica della The Open University (Regno Unito) e del Dipartimento di Chirurgia dell'Università di Helsinki – Ospedale Universitario di Helsinki (Finlandia). Gli scienziati, coordinati dalla professoressa Anne-Marie Fors Connolly, esperta in medicina delle infezioni molecolari, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver progettato uno specifico studio di coorte, mettendo a confronto le cartelle cliniche di oltre un milione di pazienti positivi al coronavirus SARS-CoV-2 (contagiati tra il 1° febbraio del 2020 e il 25 maggio 2021) con quelle di più di 4 milioni di soggetti del gruppo di controllo. I partecipanti, tutti svedesi, sono stati abbinati per età, sesso e contea di residenza.

Durante il periodo di follow-up la professoressa Fors Connolly e i colleghi hanno verificato il tasso di incidenza di trombosi venosa profonda, embolia polmonare o evento emorragico nei due gruppi di partecipanti abbinati, tenendo anche conto di eventuali fattori confondenti per il risultati; fra essi il cancro, trattamenti con anticoagulanti, precedenti sanguinamenti e altre condizioni che catalizzano il rischio di evento tromboembolico. Incrociando i dati è emerso chiaramente che i pazienti Covid avevano un rischio significativamente superiore di sviluppare serie complicazioni da coaguli di sangue rispetto a chi non era stato contagiato. Nello specifico, è stato scoperto che 4 pazienti Covid su 10mila hanno avuto un evento di trombosi venosa profonda contro 1 su 10mila del gruppo di controllo, mentre 17 pazienti Covid su 10mila hanno avuto un'embolia polmonare rispetto a meno di 1 su 10mila che non aveva contratto l'infezione. L'aumento del rischio di trombosi venosa profonda nei pazienti Covid si è normalizzato dopo tre mesi dal contagio; quello di embolia polmonare dopo sei mesi e quello di sanguinamento – come un ictus – dopo due mesi.

I pazienti che avevano avuto una Covid grave, tanto da richiedere il ricovero in ospedale, avevano un rischio di coaguli di sangue nei polmoni di circa 300 volte superiore alla norma, mentre era di sette volte superiore per chi aveva avuto una forma leggera di Covid. Gli scienziati non hanno rilevato un aumento del rischio di emorragia interna nei pazienti con infezione lieve. Complessivamente, spiegano i ricercatori nell'abstract dello studio, il rischio assoluto tra i pazienti che avevano avuto la COVID-19 era dello 0,039 percento (401 casi) per la trombosi venosa profonda; dello 0,17 percento (1761 casi) per l'embolia polmonare e dello 0,101 percento (1002 casi) per il sanguinamento. “I risultati di questo studio suggeriscono che la COVID-19 è un fattore di rischio per la trombosi venosa profonda, embolia polmonare e le emorragie”, hanno chiosato la professoressa Fors Connolly e i colleghi. In un'intervista alla BBC l'autrice principale dello studio ha sottolineato che questi dati rappresentano una buona ragione per vaccinarsi, dato che i rischi di trombosi associata ai vaccini – in particolar modo quelli a vettore adenovirale – sono sensibilmente inferiori rispetto all'infezione. I dettagli della ricerca “Risks of deep vein thrombosis, pulmonary embolism, and bleeding after covid-19: nationwide self-controlled cases series and matched cohort study” sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica The British Medical Journal.

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