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I ghiacciai alpini stanno morendo, 2022 anno nero: “Peggio di ogni razionale previsione”

Legambiente e il Comitato Glaciologico Italiano hanno diffuso i drammatici dati sullo stato di salute dei ghiacciai alpini, letteralmente divorati dal riscaldamento globale.
A cura di Andrea Centini
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Il Ghiacciaio Fellaria nel settembre del 2021. Credit: Valerio Berra
Il Ghiacciaio Fellaria nel settembre del 2021. Credit: Valerio Berra

Tra le principali vittime dei cambiamenti climatici figurano i ghiacciai alpini, preziosi ecosistemi montani che secondo molteplici studi spariranno entro la fine del secolo. Molti, tuttavia, hanno già “le ore contate” e si fonderanno completamente nel giro di pochissimi decenni, come il celebre ghiacciaio della Marmolada, la “Regina delle Dolomiti". Ma la situazione, ritenuta molto preoccupante da diverso tempo, è ben peggiore di quella attesa dagli esperti della “Carovana dei ghiacciai”, una campagna promossa da Legambiente in stretta collaborazione del Comitato Glaciologico Italiano, che ha recentemente concluso le osservazioni del 2022. Il report finale è stato presentato il 7 dicembre in un incontro tenutosi presso la Sala Cristallo dell'Hotel Nazionale di Piazza di Monte Citorio, evidenziando dati sconcertanti per quel che concerne il tasso di fusione e di arretramento dei corpi glaciali. A causa della crisi climatica in atto, catalizzata dalle emissioni di CO2 (anidride carbonica) e altri gas a effetto serra legate alle attività umane, i ghiacciai alpini sono “sempre più fragili, vulnerabili e instabili”, ha spiegato Legambiente in un comunicato stampa, aggiungendo che il 2022 è stato un vero e proprio annus horribilis per la loro sopravvivenza.

I dati snocciolati nel report, che potete consultare nella sua interezza cliccando sul seguente link, sono a dir poco drammatici. Per i giganti bianchi delle nostre montagne, si specifica, la scorsa estate è stata la peggiore delle ultime migliaia di anni. L'impatto è stato particolarmente duro anche a causa delle tendenze negative delle ultime stagioni, durante le quali non si è depositata una sufficiente copertura nevosa a protezione dei ghiacciai, agevolando il “lavoro” della radiazione solare e della riduzione dell'albedo. “Ad un inverno povero di neve si è poi aggiunta un’estate caldissima, la quale ha determinato la scomparsa di spessori glaciali in misura mai registrata prima”, spiegano i glaciologi della Carovana dei ghiacciai, che tra il 17 agosto e il 3 settembre 2022 hanno esplorato l'arco alpino dalla Valle D'Aosta al Friuli Venezia Giulia, per un totale di circa 250 ghiacciai analizzati.

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Ciò che ha sorpreso di più gli studiosi è stata l'accelerazione dei fenomeni associati al riscaldamento globale. “I dati delle stazioni meteorologiche installati alle alte quote descrivono un’intensità e una velocità di innalzamento delle temperature che va al di là di ogni previsione”, con un incremento “senza precedenti” delle ondate di calore e la concomitante riduzione di quelle di freddo. Tra i dati più significativi, che ben evidenzia la situazione attuale, è la registrazione dello zero termico. Il 25 luglio di quest'anno era a ben 5.184 metri (record assoluto) e ad ottobre si trovava ancora a 4mila metri: sono dati assolutamente anomali, dato che, come spiegato dagli scienziati, nel cuore dell'estate dovrebbe attestarsi attorno ai 3.500 metri. Questo significa che la fusione del ghiaccio si avvia sempre più in alto, fino a quando la montagna finirà e non ci sarà più nulla da sciogliere. La situazione è talmente critica che è persino diventato impossibile monitorare e misurare alcuni corpi glaciali, per diverse ragioni, come il pericolo di distacchi e crollitutti ricordano la tragedia della Marmolada dello scorso luglio – e l'arretramento / l'innalzamento del fronte ghiacciato, che rende impossibile raggiungerli. Non c'è da stupirsi che la situazione sia stata definita come “deteriorata al di là di ogni razionale previsione”.

La Carovana dei ghiacciai spiega che, oltre all'impatto sugli ecosistemi glaciali, sono stati registrati dei record allarmanti per quel che concerne le comunità e l'economia montane: “Per la prima volta tutte le località turistiche su ghiacciaio dove in estate si poteva sciare, sono state costrette a chiudere le piste; per la prima volta le discese autunnali di Coppa del Mondo di sci alpino sui ghiacciai tra Zermatt e Cervinia sono state annullate, per la prima volta nella loro vita professionale parecchie guide alpine, in conseguenza dell’aumentata pericolosità dei tracciati, hanno dovuto rinunciare agli accompagnamenti sul monte Bianco e sul monte Rosa”. tutto questo ha ricadute a catena sull'intero tessuto socioeconomico delle comunità che vivono a contatto con le montagne, violate dall'avidità e dalla scarsa lungimiranza dell'uomo.

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Dal punto di vista squisitamente numerico, nel 2022 in media i ghiacciai delle Alpi Occidentali sono arretrati di ben 40 metri, mentre il Ghiacciaio del Gran Paradiso ha raggiunto un clamoroso – 200 metri. Altri ghiacciai occidentali in grave sofferenza sono il Ghiacciaio di Verra, il Ghiacciaio del Lys e il Ghiacciaio di Indren. Quest'ultimo ha perso 64 metri in due anni, 40 dei quali negli ultimi 12 mesi. Il Pré de Bar da circa 30 anni arretra di 18 metri ogni anno, mentre il Ghiacciaio del Miage in Valle d'Aosta ha perso 100 miliardi di Litri d'acqua. I ghiacciai Planpincieux e Grandes Jorasses sono invece considerati un potenziale pericolo per crolli e distacchi “che potrebbero coinvolgere che potrebbero coinvolgere gli insediamenti e le infrastrutture del fondovalle”, spiega Legambiente. Per quanto concerne le Alpi Centrali, il Ghiacciaio del Lupo quest'anno ha perso in massa il 60 percento di quanto perduto in 12 anni, mentre il Fellaria – protagonista di uno sconcertante video in time-lapse del Servizio Glaciologico Lombardo – ha perduto circa 26 metri in 4 anni. Il Ghiacciaio del Ventina, analogamente al Gran Paradiso, è arretrato di 200 metri. Nelle Alpi Orientali il Ghiacciaio del Careser si è ridotto dell'86 percento, la Vedretta de la Mare ha perso oltre 1.000 metri e il Ghiacciaio di Lares sull'Adamello – dove si trova il più vasto ghiacciaio italiano – ha perso 600 metri. La Marmolada rischia invece di sparire in soli 15 anni, “dopo che nell’ultimo secolo ha perso più del 70% in superficie e oltre il 90% in volume”, spiega la Carovana dei ghiacciai. Se i più grandi soffrono e arretrano, i ghiacciai più piccoli e a quote meno elevate stanno già “morendo”. Molti perdono lo status di ghiacciaio e si trasformano in semplici accumuli di neve e ghiaccio.

Naturalmente non sono solo i ghiacciai italiani e alpini a soffrire l'impatto dei cambiamenti climatici. Un recente rapporto dell'ONU ha rilevato che il 33 percento dei ghiacciai dei siti UNESCO sparirà entro il 2050, ovvero circa 6mila ghiacciai in 50 località differenti. Fra quelli minacciati figurano gli iconici ghiacciai dello Yunnan in Cina, il Mont Perdu sui Pirenei (tra Francia e Spagna), i ghiacciai del Parco Nazionale Los Alerces in Argentina, i ghiacciai del Parco Nazionale dello Yellowstone (Stati Uniti) e quelli sul Monte Kenya e sul Kilimagiaro in Africa. L'ONU indica che negli ultimi 20 anni, a causa dei cambiamenti climatici, questi ghiacciai hanno perso 58 miliardi di tonnellate di ghiaccio ogni anno e hanno contribuito al 5 percento dell'innalzamento del livello del mare, una delle minacce più significative legate al riscaldamento globale. La riduzione nel consumo delle risorse idriche e un taglio rapido e netto delle emissioni sono tra le armi che abbiamo per contenere questo disastro ambientale e sociale, ma per molti ghiacciai è ormai è troppo tardi. Anche se riuscissimo a fermare oggi le emissioni di carbonio, hanno ormai raggiunto un punto di non ritorno e sono destinati a fondere. Ma per molti non è ancora stata scritta la parola fine Legambiente sottolinea l'importanza di monitorarli e preservarli, sensibilizzando l'opinione pubblica e pianificando azioni per gestire le aree in alta quota.

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