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I buchi neri nell’universo primordiale sono più del previsto: come possono essersi formati

Trovati con l’aiuto del telescopio spaziale Hubble della NASA, i buchi neri nell’universo primordiale sono più di quanti precedentemente riportati: alcuni possono essersi formati dal collasso di stelle massicce e incontaminate, durante il primo miliardo di anni dal Bing Bang; altri dal collasso di nubi di gas e dalla fusione di ammassi massicci. Quelli “primordiali” si sarebbero formati subito dopo la nascita dell’universo.
A cura di Valeria Aiello
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Illustrazione di un buco nero / Credt: iStock
Illustrazione di un buco nero / Credt: iStock

I buchi neri nell’universo primordiale sono più di quanti trovati in precedenza: le prove della loro esistenza arrivano dalle immagini prodotte dal telescopio spaziale Hubble della NASA che, a distanza di diversi anni dalla prima storica osservazione, del 2004, delle profondità del cosmo o meglio, dell’Hubble Ultra Deep Field, il campo ultraprofondo di Hubble – la regione apparentemente buia e vuota, ma che in realtà contiene circa 10.000 galassie, nella costellazione della Fornace, sotto la costellazione di Orione – è tornato a puntare il suo occhio nel vicino infrarosso in questa stessa regione di indagine.

Ciò ha permesso a un team internazionale di ricercatori, guidato dagli scienziati del Dipartimento di Astronomia dell’Università di Stoccolma, di rilevare alcune variazioni nella luminosità delle galassie, che sono un segno rivelatore di buchi neri. Dal confronto delle immagini prodotte nel 2009, 2012 e 2013 è tuttavia emerso che i buchi neri sono più di quanti precedentemente riportati.

Una nuova immagine dell’Hubble Ultra Deep Field: confrontando le esposizioni nel vicino infrarosso ottenute nel 2009, 2012 e 2023, gli astronomi hanno trovato prove di buchi neri supermassicci “tremolanti” nel cuore delle galassie primordiali, di cui uno è visibile come un oggetto luminoso riquadro. Alcuni di questi buchi neri supermassicci non inghiottono costantemente il materiale circostante, ma lo fanno a scatti e raffiche, facendo tremolare la loro luminosità / Credit: NASA/ESA.
Una nuova immagine dell’Hubble Ultra Deep Field: confrontando le esposizioni nel vicino infrarosso ottenute nel 2009, 2012 e 2023, gli astronomi hanno trovato prove di buchi neri supermassicci “tremolanti” nel cuore delle galassie primordiali, di cui uno è visibile come un oggetto luminoso riquadro. Alcuni di questi buchi neri supermassicci non inghiottono costantemente il materiale circostante, ma lo fanno a scatti e raffiche, facendo tremolare la loro luminosità / Credit: NASA/ESA.

I risultati preliminari di questa indagine, riguardante otto oggetti – tre variabili sono supernove, due sono nuclei galattici attivi (AGN) e tre sono i probabili candidati AGN – sono stati dettagliati in un nuovo studio pubblicato sul pubblicato su The Astrophysical Journal Letters, che ha fornito prima misura del numero di buchi neri supermassicci nell’universo primordiale.

Stimiamo una densità numerica di buchi neri supermassicci maggiore di circa ≳ 8 × 10 −3 cMpc −3, che è il valore più grande finora riportato ad alti redshift – scrivono gli autori dello studio – Questa abbondanza di buchi neri supermassicci è anche sorprendentemente simile a quella dell’Universo locale”.

Come possono essersi formati i primi buchi neri

I buchi neri sono tra gli oggetti celesti più enigmatici per gli scienziati: ad oggi, non abbiamo infatti ancora un quadro completo di come i primi buchi neri si siano formati poco dopo il Big Bang, anche se sappiamo che i buchi neri supermassicci, che possono avere una massa di più di un miliardo di volte quella del sole, esistono al centro di diverse galassie risalgono a meno di un miliardo di anni dopo la nascita dell’universo.

Molti di questi oggetti sembrano essere più massicci di quanto originariamente pensavamo che potessero essere in epoche così remoteha affermato Alice Young, dottoranda dell’Università di Stoccolma e coautrice dello  studio – . Un’ipotesi è che fossero già molto massicci quando si sono formati, oppure che siano cresciuti molto rapidamente”.

I buchi neri svolgono un ruolo importante nel ciclo di vita di tutte le galassie, ma ci sono grandi incertezze nella nostra comprensione di come si evolvano le galassie stesse. Per provare a capire il collegamento tra l’evoluzione delle galassie e buchi neri, i ricercatori stanno quindi cercando di stimare il numero di buchi neri che esistevano nelle popolazioni di galassie deboli dell’Hubble Ultra Deep Field, cioè in un tempo cosmico in cui l’universo era molto giovane.

I nuovi risultati osservativi suggeriscono che alcuni buchi neri si siano probabilmente formati dal collasso di stelle massicce e incontaminate, durante il primo miliardo di anni dopo il Big Bang. “Questi tipi di stelle potevano esistere solo in tempi molto remoti nell’universo, perché le stelle di generazione successiva sono inquinate dai resti di stelle che sono già vissute e morte” hanno precisato gli studiosi. “Altre alternative per la formazione dei buchi neri includono il collasso di nubi di gas, fusioni di stelle in ammassi massicci e buchi neri ‘primordiali’ che si sono formati (mediante meccanismi fisicamente speculativi) nei primi secondi dopo il Big Bang”.

Con queste nuove informazioni sulla formazione dei buchi neri gli astronomi potranno ora costruire modelli più accurati della formazione delle galassie, avvalendosi inoltre delle nuove osservazioni effettuate con il telescopio spaziale James Webb della NASA, per comprendere quanto davvero fossero massicci i buchi neri galattici che si sono formati subito dopo il Big Bang.

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