Gli scienziati russi stanno tentando di risvegliare i virus zombie che hanno ucciso il mammut lanoso
I mammut lanosi, che vagano per le steppe siberiane fino alla loro estinzione, alla fine del Pleistocene, erano creature spaventose. Delle dimensioni di un elefante, avevano zanne lunghe e ricurve verso l’alto, in grado di uccidere qualsiasi altro animale o essere umano che fosse abbastanza imprudente da avvicinarsi. Per i biologi, questi mammiferi hanno però un fascino tutto particolare per varie ragioni, non da ultime le caratteristiche genetiche che permisero alla specie di adattarsi al freddo. Proprio in quest’ambito di ricerca, l’anno scorso è stato lanciato un progetto, chiamato Colossal, con l’obiettivo di modificare il codice genetico del parente più stretto del mammut, l’elefante asiatico, al fine di creare un animale ibrido in grado di sopravvivere al gelido clima dell’Artico.
Nel contesto dello stesso progetto, condotto dal Centro di ricerca statale russo di virologia e biotecnologia, noto come Vektor, gli scienziati starebbero ora tentando di estrarre materiale cellulare contenente i virus che hanno ucciso i mammut lanosi per condurre alcune sperimentazioni di laboratorio. Lo riporta il Daily Mail, precisando che questi agenti patogeni sarebbero rimasti dormienti per millenni nei resti congelati nel permafrost di questi animali e di altre specie estinte nel Nord-Est della Siberia.
L’idea di risvegliare questi virus “zombie” ha sollevato non poche preoccupazioni tra gli esperti internazionali, come Jean-Michel Claverie, professore di microbiologia all’Università di Aix-Marsiglia, in Francia. Il mese scorso, Claverie ha annunciato di aver rianimato un altro virus “zombie” siberiano, rimasto congelato sotto il letto di un lago per oltre 30.000 anni. Al contrario però del tentativo degli scienziati russi, il lavoro del team guidato da Claverie si è concentrato sui virus che possono infettare soltanto l’ameba unicellulare, piuttosto che minacciare gli animali o gli esseri umani. “[La ricerca di Vector] è terribile. Sono totalmente contrario – ha affermato Claverie – . [È] molto, molto rischioso. Il nostro sistema immunitario non ha mai incontrato questo tipo di virus. Alcuni potrebbero avere 200.000 o addirittura 400.000 anni, ma quelli antichi che infettavano gli animali o gli esseri umani possono ancora essere infettivi”.
Per quanto riguarda la fiducia nella biosicurezza dei laboratori di Vector, già in passato al centro di incidenti letali con i virus, come quello del 2004, in cui un ricercatore perse la vita dopo essersi punto accidentalmente con un ago infetto dal virus Ebola, e come quello del 1979 che causò un’epidemia di antrace che uccise almeno 66 persone dopo il rilascio accidentale di spore del batterio, Claverie si è detto “non molto sicuro che tutto sia aggiornato”.
Tuttavia, anche volendo escludere la fuga accidentale di vecchi patogeni che gli scienziati russi potrebbero riportare alla luce, lo scioglimento del permafrost a causa dei cambiamenti climatici, così come l’estrazione di combustibili fossili che in Siberia comporta la rimozione di strati di permafrost che possono avere centinaia di anni, può rappresentare di per sé un rischio, dal momento che il tutto avviene all’aperto e non in un laboratorio di biosicurezza.
“Non sappiamo cosa può esserci” ha avvertito l’esperto che, anticipando i risultati di un suo nuovo studio non è ancora pubblicato, ha ammesso come la principale minaccia per l’umanità sia rappresentata proprio dai virus sconosciuti che possono emergere dallo scioglimento dei ghiacci e che, analogamente a quanto accaduto con il coronavirus Sars-Cov-2 del Covid-19, rischiano di diffondersi rapidamente in una popolazione priva di immunità naturale, innescando una pandemia.