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Gli Antichi Greci e Romani mettevano il profumo alle statue: che odore avevano

Gli archeologi hanno dato vita a un progetto per far emergere i sensi percepiti da chi ammirava le statue greco-romane nel loro antico splendore. Oltre ad essere dipinte in più colori e ornate di oggetti preziosi, queste opere d’arte veniva anche profumate con lozioni, oli e balsami. Ecco quali odori avevano.
A cura di Andrea Centini
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Il volto della Venere di Milo. Credit: Wikipedia
Il volto della Venere di Milo. Credit: Wikipedia

Gli Antichi Greci e Romani erano soliti profumare le loro statue con oli ed essenze, donando loro una fragranza dolce. È quanto emerso da un nuovo studio che ha evidenziato quali balsami e lozioni venivano impiegati per “addolcire” le magnifiche opere scultoree. Come indicato nella pagina del progetto “Sensing The Ancient World: The Invisible Dimensions of Ancient Art” della Carlsberg Foundation, le statue di marmo bianco che noi vediamo nei musei non sono altro che “scheletri” di com'erano realmente al momento della realizzazione, 2.000 o più anni fa. Oggi sappiamo ad esempio che queste statue erano policrome – cioè erano dipinte con più colori – e venivano adornate con vari oggetti per essere impreziosite, come fiori e gioielli. Alcuni documenti e indizi suggeriscono che venivano usati anche dei profumi per donare loro aromi specifici, tuttavia solo grazie al nuovo studio, effettuato nel contesto del progetto di cui sopra, oggi conosciamo meglio quali erano i "trattamenti" cui le sculture venivano sottoposte.

A condurre lo studio la dottoressa Cecilie Brons, archeologa presso il Ny Carlsberg Glyptotek di Copenaghen, istituto che sta portando avanti una serie di ricerche (concentrate sulle opere greco-romane in marmo) per far emergere i sensi percepiti da chi entrava in contatto con le sculture nel loro periodo di massimo splendore. “L'uso di profumi per il corpo umano e per creare ambienti profumati è ben documentato nell'antico mondo mediterraneo – ha spiegato la dottoressa Brons nell'abstract della ricerca – tuttavia, come chiarirà questo studio, i profumi non erano usati solo per i corpi umani viventi, ma anche per le sculture antiche”.

Nike di Samotracia. Credit: Wikipedia
Nike di Samotracia. Credit: Wikipedia

Bellissime, evocative e talvolta imponenti, le statue realizzate dagli Antichi Greci e Romani del resto non erano semplici oggetti ornamentali, ma giocavano un ruolo molto significativo all'interno delle rispettive società. In Grecia le opere d'arte erano intimamente connesse con la religione e la mitologia. Spesso rappresentavano eroi, divinità e atleti, che venivano realizzati dagli scultori in pose dinamiche estremamente affascinanti. La bellissima Venere di Milo e la Nike di Samotracia in marmo – alte oltre 2 metri – sono tra gli esempi più significativi. Per quanto concerne i Romani, le statue avevano un ruolo più politico, commemorativo e celebrativo, rappresentando spesso imperatori, generali e altre figure di spicco della società romana, di cui venivano esaltate le gesta militari e le conquiste.

Imperatore Augusto. Credit: Wikipedia
Imperatore Augusto. Credit: Wikipedia

Come indicato, ciò che vediamo oggi non è che uno "scheletro" del loro antico splendore, che coinvolgeva anche esperienze olfattive. Stando ad alcune iscrizioni recuperate sull'isola di Delo, dove venivano anche prodotti i profumi, le statue erano sottoposte a una procedura chiamata “kosmesis” durante la quale venivano unte con oli, grassi, balsami e lozioni per donare loro un odore dolce. Tra le fragranze citate dalla scienziata quelle di olio di oliva, miele e rose, che rendevano ancor più coinvolgente la contemplazione. “Quando cerchiamo di avvicinarci e comprendere l'esperienza antica delle sculture, dobbiamo coinvolgere non solo i nostri occhi, ma anche la nostra immaginazione e la conoscenza delle dimensioni olfattive e della messa in scena sensoriale originale”, ha affermato la dottoressa Brons al Washington Post. I dettagli della ricerca “The Scent of Ancient Greco-Romane Sculpture” è stato pubblicato sulla rivista scientifica Oxford Journal of Archaelogy.

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