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Giovanni Rezza spiega cos’è il virus dell’aviaria H5N1: cosa rischiamo in caso di contagio da uomo a uomo

Il primo caso di morte umana per influenza aviaria A (H5N2) ha alzato i livelli di preoccupazione per il rischio di una nuova pandemia. In realtà l’osservato speciale di questi mesi è un altro ceppo dello stesso virus, l’H5N1, che ha già causato tre casi di infezione umana negli operatori di allevamenti di bestiame negli Stati Uniti. Ma quanto è reale questo rischio? Le risposte dell’epidemiologo Giovanni Rezza, ex direttore generale della Prevenzione sanitaria del Ministero della Salute.
Intervista a Prof. Giovanni Rezza
Epidemiologo ed ex direttore generale della Prevenzione sanitaria del Ministero della Salute
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Dopo nemmeno una settimana dalla notizia del terzo caso umano di influenza aviaria A (H5N1) negli Stati Uniti, oggi, 6 giugno 2024, l'Organizzazione mondiale di sanità (Oms) ha comunicato che in Messico un uomo è morto dopo aver contratto il virus A H5N2. Si tratta di un ceppo diverso da quello che sta circolando negli allevamenti di mucche negli Stati Uniti, ma, resta – ha spiegato l'Oms – il "primo caso umano confermato in laboratorio di infezione da virus dell'influenza A (H5N2) segnalato a livello globale”.

Sebbene l'uomo avesse altre condizioni pregresse – è quindi impossibile stabile con certezza se la sua morte sia stata causata o no dall'influenza aviaria – il fatto che non abbia avuto contatti con gli allevamenti di pollame (dove il virus è stato rilevato), né con altri animali è un dato non trascurabile. Anche se parliamo di due ceppi diversi di influenza aviaria, è chiaro che questa notizia ha aumentato i livelli di allarme sui rischi di un possibile contagio su larga scala tra gli uomini.

Nello specifico, osservato speciale è il virus H5N1, che negli ultimi mesi dai volatili ha compiuto il salto di specie, contagiando molti altri mammiferi, per ultime le mucche da latte in diversi allevamenti degli Stati Uniti, da dove arrivano anche i tre casi di infezione umana. Come hanno sottolineato anche le autorità sanitarie europee, ora la paura è che questo virus continui a mutare fino ad adattarsi all'uomo. Ma quanto è realistico il rischio di una nuova pandemia? Fanpage.it lo ha chiesto al Prof. Giovanni Rezza, docente di Igiene all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano ed ex direttore generale della Prevenzione sanitaria del Ministero della Salute durante la pandemia di Covid-19.

Cosa cambia con il primo caso di morte per in influenza aviaria in Messico?

In realtà questa notizia non aggiunge nulla alle informazioni sul rischio pandemia legato al virus dell’influenza aviaria A (H5N1) ad alta patogenicità (HPAI) perché la persona deceduta in Messico aveva contratto un sottotipo diverso dello stesso virus, l’H5N2, diverso dall’H5N1, ovvero il ceppo che sta circolando nel bestiame negli Stati Uniti.

Questo però non significa che la notizia vada sottovalutata. Ci ricorda infatti che nel mondo animale circolano diversi virus che potrebbero fare il cosiddetto salto di specie, passando dagli animali all’uomo. Esistono infatti diversi virus aviari che potrebbero mutare e adattarsi all’uomo. Non è detto che lo facciano, però questa possibilità esiste. Per questo motivo il caso in Messico lascia delle domande irrisolte.

A quali domande si riferisce?

L’aspetto che ci lascia in qualche modo inquieti rispetto a questo caso specifico è l’assenza di informazioni sulle modalità di contagio. Mi spiego meglio: non sappiamo come la persona abbia contratto il virus, se è stato contagiato da volatili o se il virus è passato da persona a persona. Non lo possiamo sapere, ma questo cambierebbe le carte in tavola, perché nel caso di contagio da uomo a uomo saremmo di fronte alla conferma del fatto che quel virus riesce a trasmettersi anche da uomo a uomo.

Torniamo al virus dell’influenza aviaria A (H5N1). I casi negli Stati Uniti stanno creando una certa paura. Esiste o no il rischio pandemia?

Il rischio pandemia c’è sempre. Una pandemia influenzale è un fenomeno che non si può mai escludere, ma che allo stesso tempo non è prevedibile: non possiamo sapere che ci sarà una pandemia finché non si verifica.

Allora perché parliamo così spesso di rischio aviaria nell’uomo?

Rispetto all’H5N1 si è parlato di un rischio di una nuova pandemia perché siamo di fronte a un virus che dal 2023 a oggi ha causato circa 900 casi umani. Questo dato ha destato una certa preoccupazione per cui il virus ora è un osservato speciale. Ma non dimentichiamoci che ci sono molti altri virus animali, aviari ma anche suini, che sono in grado di fare il salto di specie dall’animale all’uomo. Come ha dimostrato il caso dell’uomo in Messico. Tuttavia, senza fare allarmismi, anche quando questo si verifica non è detto che poi il virus muti e si adatti all’uomo a tal punto di diventare trasmissibile da persona a persona. È questo il vero pericolo.

Per capirci meglio: i diversi decessi tra le mucche negli allevamenti degli Stati Uniti sono la prova che il virus si è adatto a una nuova specie?

In realtà, da quello che è stato osservato in laboratorio, il virus trovato nelle mucche morte non mostra un così elevato numero di mutazioni. Il fatto che sia riuscito a infettare diversi esemplari può dipendere anche dalla presenza di alcuni recettori diversi da quelli umani e che potrebbero farlo circolare in alcune specie animali più di quanto succede tra gli uomini.

Sappiamo cosa potrebbe succedere qualora il virus si adattasse all’uomo? Finora i casi umani di H5N1 non ha causato sintomi gravi…

È molto difficile dirlo. Nel caso in cui si verificasse un passaggio da persona a persona più efficiente, quindi conseguenza di una mutazione del virus che lo ha reso in grado di adattarsi all’uomo, non è detto che la virulenza rimarrebbe la stessa, non sappiamo nemmeno quali sintomi potrebbe causare in caso di infezione, non è detto che restino gli stessi che vediamo oggi nei singoli casi di infezione umana.

Per quanto riguarda l’Italia? La nostra situazione è meno a rischio?

Allora, fermo restando i limiti che abbiamo detto finora sull'impossibilità di prevedere una nuova pandemia umana, possiamo dire che il rischio di contagio di cui si è parlato negli Stati Uniti rispetto al consumo di latte crudo in Italia non esiste perché il virus H5N1 non sta circolando nelle nostre mucche e qualora anche venisse rintracciato nei nostri allevamenti, in Italia il latte in commercio è solo pastorizzato, quindi non saremmo esposti a questo rischio. Insomma, questo mi sembra l’ultimo dei problemi.

Cosa possiamo fare oggi per tutelarci?

Dobbiamo mantenere alta l’attenzione su questi virus e migliorare i sistemi di sorveglianza. Disponiamo di vaccini che potrebbero essere facilmente adattati per essere somministrati su larga scala, ma per farlo servirebbero comunque 4-6 mesi. In questo momento non dobbiamo allarmarci, però bisogna prepararsi anche a scenari peggiori.

Le informazioni fornite su www.fanpage.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.
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