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Forse abbiamo capito perché l’atmosfera del Sole è 150 volte più calda della sua superficie

Se la temperatura dipendesse solo dall’energia prodotta nel nucleo e trasferita verso l’esterno, l’atmosfera solare sarebbe più fredda della superficie del Sole. Invece raggiunge quasi 1 milione di gradi, rispetto ai 6.000 della superficie.
A cura di Valeria Aiello
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Illustrazione di Solar Orbiter (a sinistra) e Parker Solare Probe (a destra) durante lo studio del Sole. Credit: Solar Orbiter: ESA/ATG medialab; Parker Solar Probe: NASA/Johns Hopkins APL
Illustrazione di Solar Orbiter (a sinistra) e Parker Solare Probe (a destra) durante lo studio del Sole. Credit: Solar Orbiter: ESA/ATG medialab; Parker Solar Probe: NASA/Johns Hopkins APL

Un mistero cosmico, vecchio di 65 anni, sembra aver trovato una soluzione. A suggerirla sono i dati di due importanti missioni solari, la Parker Solar Probe della NASA e il Solar Orbiter dell’Agenzia spaziale europea (ESA) che stanno entrambe studiando il Sole, anche se in modi diversi: nel giugno dello scorso anno hanno però dimostrato quanto siano complementari nel contribuire a risolvere uno dei più grandi grattacapi di fisici e scienziati di tutto il mondo.

Il mistero della temperatura dell'atmosfera solare

Parliamo del problema del riscaldamento coronale, ovvero della temperatura dell’atmosfera (corona) del Sole che, se dipendesse solo dall’energia prodotta nel nucleo e trasferita verso l’esterno, sarebbe più fredda della superficie solare, in quanto più lontana dalla fonte di calore. Tuttavia, mentre la superficie del Sole si aggira intorno ai 6.000 gradi, la corona può raggiungere circa 1 milione di gradi: in altre parole, l’atmosfera del Sole è quasi 150 volte più calda della sua superficie. Questo lascerebbe intendere l’importante contributo di un altro fenomeno in grado di trasferire energia termica alla corona. Ma quale?

La corona solare è costituita da gas elettricamente carico, noto come plasma, e da tempo gli scienziati si sospettavano che la turbolenza nell’atmosfera solare potesse provocare un significativo riscaldamento del plasma coronale. Studiare questo fenomeno è però particolarmente difficile, per l’esistenza di un limite pratico: è impossibile ottenere misurazioni complete utilizzando un solo veicolo spaziale.

Se ci si avvina al Sole abbastanza da misurare il flusso di particelle e i campi magnetici, l’atmosfera solare non può essere osservata con strumenti di telerilevamento, poiché le telecamere verrebbero accecate da una luce così intensa. Quando invece ci si allontana a una certa distanza, le telecamere possono osservare il Sole e la sua atmosfera a diverse lunghezze d’onda ma altri strumenti non riescono a effettuate misurazioni di particelle e dei campi magnetici. Ciò significa che mentre il telerilevamento mostra i risultati su larga scala ma non i dettagli dei processi che avvengono nel plasma, le misurazioni più ravvicinate forniscono informazioni altamente specifiche sui processi su piccola scala ma non mostrano come questi influiscano in larga scala.

La soluzione migliore è quindi quella di utilizzare due veicoli spaziali contemporaneamente, uno che si trova molto vicino al Sole (Parker Solar Probe) e l’altro (Solar Orbiter) in grado di osservare il Sole da più lontano. Per poterli sfruttare in modo complementare, la Parker Solar Probe deve però trovarsi nel campo visivo di uno degli strumenti di Solar Orbiter: in questo modo il Solar Orbiter può registrare le conseguenze su larga scala di ciò che la Parker Solar Probe misura in situ.

Daniele Telloni, ricercatore dell’INAF presso l’Osservatorio Astrofisico di Torino, che fa parte del team scientifico dello strumento Metis di Solar Orbiter, ha calcolato quando i due veicoli spaziali si sarebbero trovati al posto giusto nel momento giusto: il 1° giugno 2022. In vista di quella data, la posizione della Solar Orbiter avrebbe dovuto essere solo leggermente modificata per permettere allo strumento Metis di catturare ciò che la Parker Solar Probe avrebbe misurato e permettere le prime osservazioni simultanee.

Questo lavoro è il risultato del contributo di moltissime persone” ha affermato Telloni, che ha guidato l’analisi dei dati pubblicata in un articolo sull’Astrophysical Journal Letters. “La possibilità di utilizzare sia Solar Orbiter e Parker Solar Probe per le misurazioni simultanee ha davvero aperto una dimensione completamente nuova a questa ricerca” ha aggiunto Gary Zank dell’Università dell’Alabama a Huntsville, negli Stati Uniti, e coautore dell’articolo.

Confrontando la velocità di riscaldamento di uno stesso volume di plasma coronale misurata in simultanea dai due veicoli spaziali con le previsioni fatte dai fisici solari nel corso degli anni, gli studiosi hanno dimostrato che il fenomeno della turbolenza nell’atmosfera solare è quasi certamente la ragione del riscaldamento coronale.

Il modo specifico in cui agisce la turbolenza non è dissimile da ciò che accade quando mescoliamo una tazzina di caffè al mattino – spiegano i ricercatori – . Stimolando movimenti casuali di un fluido, sia esso un gas o un liquido, l’energia viene trasferita su scale sempre più piccole, culminando nella trasformazione dell’energia in calore. Nel caso della corona solare, anche il fluido è magnetizzato e quindi è disponibile anche l’energia magnetica immagazzinata per essere convertita in calore”.

Per poter affermare che il problema del riscaldamento solare è risolto saranno necessari ulteriori studi, ma quanto osservato nella misurazione combinata fornisce la prima prova di questo processo, rappresentando un significativo passo in avanti nella soluzione di questo vecchio problema.

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