Esame del sangue rivoluzionario rileva il Parkinson 7 anni prima dei tremori e altri sintomi
Gli scienziati hanno messo a punto un innovativo esame del sangue – al momento sperimentale – in grado di rilevare il morbo di Parkinson fino a 7 anni prima che compaiano i sintomi. Più nello specifico si parla dei sintomi motori come tremori, rigidità e difficoltà a deambulare, caratteristici della diffusa patologia neurodegenerativa. Secondo quanto indicato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), essa colpisce poco meno di 10 milioni di individui e le diagnosi sono in costante aumento. Un semplice test del sangue in grado di rilevare la “firma” della malattia molto prima che si manifesti con i suoi effetti devastanti è considerato un traguardo di fondamentale importanza nella medicina. Si potrebbe infatti intervenire precocemente con terapie e nuovi trattamenti in grado di rallentare la progressione della malattia o addirittura arrestarla.
A mettere a punto il nuovo esame del sangue in grado di rilevare il Parkinson anni prima della comparsa dei sintomi è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati britannici dell'UCL Institute of Child Health and Great Ormond Street Hospital di Londra e del Centro medico universitario dell'Università di Gottinga (Germania), che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Dipartimento di Medicina Sperimentale, Diagnostica e Specialistica (DIMES) dell'Università di Bologna, del Dipartimento di Neurologia dell'Università Philipps e di altri istituti. I ricercatori, coordinati dai professori Jenny Hällqvist e Michael Bartl, hanno sviluppato l'esame del sangue sfruttando il machine learning – l'apprendimento automatico (un tipo di intelligenza artificiale), concentrandosi su specifici biomarcatori che risultano alterati nel sangue nei pazienti con Parkinson.
In tutto sono state coinvolte otto di queste firme molecolari nel sangue: complemento C3; inibitore della proteasi plasmatica-C1; precursore della granulina; prostaglaindina-H2-D-isomaerasi; mannano-legante-lectina-serina-peptidasi-2; BiP del reticolo endoplasmatico; molecola di adesione interceullulare-1; e inibitore della via di segnalazione Dickkopf-WNT-3. È interessante notare che alcuni di questi biomarcatori sono associati allo stress del reticolo endoplasmatico, un sistema di membrane all'interno delle nostre cellule. È noto che una proteina chiamata alfa-sinucleina non solo è in grado di indurre lo stress nel reticolo endoplasmatico, ma è anche al centro del processo neurodegenerativo del Parkinson. La malattia, infatti, è causata dalla morte progressiva dei neuroni legati al movimento presenti in una parte del cervello chiamata substantia nigra; quando muoiono o non funzionano correttamente non sono più in grado di produrre la dopamina, un neurotrasmettitore fondamentale. Ciò avviene proprio a causa dell'accumulo dell'alfa sinucleina nel tessuto cerebrale.
Come funziona l'esame del sangue che predice il Parkinson
Una volta individuati gli otto biomarcatori legati al Parkinson, grazie all'intelligenza artificiale i ricercatori sono stati in grado di confermare le diagnosi – con una precisione del 100% – dalle analisi del sangue di pazienti con la malattia conclamata. Il passo successivo è stato utilizzare i livelli alterati di questi biomarcatori per verificarne la capacità predittiva, ovvero, cercarli in chi ancora non manifestava sintomi motori. Per farlo hanno coinvolto decine di pazienti con disturbo del comportamento dei movimenti oculari rapidi (iRBD), un disturbo del sonno nel quale chi ne soffre reagisce fisicamente a sogni vividi (ad esempio scalciando).
Come spiegato dagli autori dello studio, è noto che fino all'80 percento delle persone con questa condizione va incontro all'accumulo di alfa-sinucleina nel cervello, che può sfociare nel Parkinson. Il sangue dei partecipanti, seguiti per dieci anni, è stato analizzato con il test del sangue per determinare chi fra di essi avrebbe effettivamente sviluppato il morbo. Ebbene, l'esame è stato in grado di prevedere con una precisione del 100% i 16 partecipanti con iRBD che hanno poi sviluppato il Parkinson, proprio grazie alla rilevazione dei livelli alterati dei biomarcatori. Uno degli aspetti più interessanti risiede nel fatto che i pazienti sono stati individuati anche 7 anni prima della comparsa dei primi sintomi motori.
Quando sarà pronto il test che rileva il Parkinson prima dei sintomi
Al momento il nuovo test è solo sperimentale, ma i ricercatori si augurano di poterlo portare nella pratica clinica al più presto, sostituendo ad esempio gli invasivi prelievi lombari di liquido cerebrospinale dal quale è possibile rilevare i segni del Parkinson (un prelievo di sangue è molto più agevole e facile da sopportare). "Determinando 8 proteine nel sangue, possiamo identificare potenziali pazienti affetti da Parkinson con diversi anni di anticipo. Ciò significa che le terapie farmacologiche potrebbero potenzialmente essere somministrate in una fase precedente, il che potrebbe rallentare la progressione della malattia o addirittura impedirne la comparsa”, ha dichiarato il professor Michael Bartl.
“Al momento stiamo chiudendo la porta della stalla dopo che i buoi sono scappati e dobbiamo iniziare trattamenti sperimentali prima che i pazienti sviluppino sintomi. Pertanto, abbiamo deciso di utilizzare una tecnologia all'avanguardia per trovare nuovi e migliori biomarcatori per la malattia di Parkinson e svilupparli in un test che possiamo tradurre in qualsiasi grande laboratorio del Servizio Sanitario Nazionale. Con finanziamenti sufficienti, speriamo che ciò sia possibile entro due anni”, ha chiosato il professor Kevin Mills dello University College di Londra. Recentemente un nuovo studio ha dimostrato che il trapianto di feci dal naso può migliorare i sintomi della malattia, mentre un altro ha evidenziato che Parkinson e Alzheimer potrebbero essere la duplice manifestazione di un'unica malattia. I dettagli della ricerca “Plasma proteomics identify biomarkers predicting Parkinson’s disease up to 7 years before symptom onset” sul test del sangue sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista scientifica Nature Communications.