Enorme riserva d’acqua in Sicilia, il possibile impiego spiegato da chi l’ha scoperta
Un vasto giacimento d’acqua, recentemente scoperto sotto i Monti Iblei, nella Sicilia sud-orientale, potrebbe essere utilizzato come fonte non convenzionale di acqua, forse anche potabile. “Potrebbe supportare utilizzi diversificati, dalla potabilità all’uso per scopi agricoli e industriali”: a parlare dei possibili impieghi della nuova risorsa sotterranea è il geologo Lorenzo Lipparini, professore dell’Università Roma Tre e ricercatore dell’INGV che, in collaborazione con l’Università di Malta, è arrivato alla scoperta di questo esteso corpo idrico.
“Potrebbe costituire una risorsa significativa, soprattutto considerando la scarsità d’acqua della Sicilia e di altre regioni costiere del Mediterraneo” ha aggiunto Lipparini, autore principale dello studio pubblicato su Communications Earth & Environment, la rivista di scienze ambientali e planetarie di Nature, in cui sono state dettagliate le caratteristiche di forma, estensione e volume di questo serbatoio idrico naturale.
Come avete fatto a capire che sotto i Monti Iblei c’è così tanta acqua?
La nostra ricerca si è basata sia su dati di tipo geologico sia su documenti relativi alle attività di perforazione che sono state effettuate in Sicilia per scopi petroliferi negli ultimi 50 anni. In totale, abbiamo analizzato le informazioni disponibili di circa 150 pozzi, in molti dei quali non sono mai stati trovati idrocarburi: tuttavia, riesaminando nel dettaglio quei dati, abbiamo notato che 70 pozzi ci fornivano informazioni robuste sulla presenza di acque sotterranee, sia dolci che salmastre, in una piattaforma carbonatica profonda, chiamata Formazione di Gela.
Mettendo insieme tutte queste informazioni, ha preso forma quello che è oggi chiamiamo giacimento di acque sotterranee, la cui salinità aumenta con la profondità ma è molto bassa nella parte più superficiale.
Quanta acqua contiene?
Le prime stime parlano di 17 miliardi di m3 di acqua, quindi di un corpo idrico molto importante sia dolce che salmastro. Non conosciamo però le caratteristiche chimico-fisiche di queste acque, perché per adesso non ne abbiamo fisicamente dei campioni, ma viste le quantità importanti, sarebbe ragionevole pensare a un’indagine e un prelievo di campioni da analizzare.
Queste analisi potrebbero dirci se potranno essere utilizzate come acque potabili oppure impiegate per altri usi, come l’irrigazione o l’abbeveraggio del bestiame, aprendo la strada anche a studi più dettagliati sulla fattibilità tecnico-economica di una possibile estrazione.
Perché? Queste acque sotterranee si trovano a grandi profondità?
Sì e no. Il punto più profondo del giacimento si trova a oltre 2 chilometri dalla superficie, quindi ben al di sotto dell’attuale livello del mare, ma il punto più alto, in cui sono tra l’altro presenti le acque più dolci, si trova nella zona di Licodia-Vizzini, a soli 700 metri dalla superficie, il che significa che potrebbe essere raggiuto abbastanza facilmente con una perforazione meccanica.
Come le dicevo, non conoscendo però le caratteristiche microbiologiche e chimico-fisiche di queste acque, non possiamo ancora dire con certezza quale uso se ne potrebbe fare, sebbene le acque sotto la zona di Licodia-Vizzini siano più dolci, cioè acque che hanno una salinità non troppo diversa dall’acqua che beviamo. Chiaramente, questo non vuol dire che siano direttamente potabili, ma significa che quelle acque hanno un contenuto in sali molto basso, per cui ad esempio potrebbero dover essere desalinizzate, a costi molto bassi, prima di essere utilizzate per uso umano, oppure essere già buone per abbeverare bovini e ovini, per i quali si possono usate acque con contenuto salino più alto.
Come possono essersi formate?
Crediamo, in maniera robusta, che l’unica ragione che nel passato geologico possa aver dato origine a un sistema idrico sotterraneo così esteso e profondo di acque a salinità basse, sia legato a infiltrazioni di acqua meteorica in epoche in cui il livello del mare era molto più basso di quello attuale. Il Mediterraneo, nello specifico, ha vissuto un periodo molto particolare circa 6 milioni di anni fa, chiamato Messiniano, durante il quale si è in gran parte prosciugato, mancando la connessione attraverso lo stretto di Gibilterra all’Oceano Atlantico per circa 250mila anni.
In quella particolare condizione, di cui come geologi siamo certi perché abbiamo tracce di grandi spessori di sale e rocce evaporitiche più o meno lungo tutto del Mediterraneo, abbiamo stimato che il livello del mare sia sceso di 2,4 km, che è una stima molto simile a quella fatta da altri autori sulla base di altri dati. Questo per dirle che il meccanismo dietro la presenza di acque profonde oggi preservate crediamo che sia legato a questo abbassamento del livello del mare durante il Messiniano. Da allora, queste acque sono rimaste intrappolate all’interno di quest’area, al di sotto dei Monti Iblei.
Mi parlava di 17 miliardi di metri cubi d’acqua, quale fabbisogno potrebbero coprire?
Nell’ipotesi che le caratteristiche di queste acque siano buone o che l’acqua possa essere trattata in maniera efficiente, estraendone ad esempio anche solo un terzo, quest’acqua potrebbe bastare da sola, per anni, a soddisfare il fabbisogno dell’intera Sicilia. Anche se ne estraessimo un decimo, supponendo di attingere all’acqua più dolce in superficie, si tratterebbe comunque di un contributo molto importante che andrebbe ad aggiungersi alla disponibilità di altre acque.
I volumi che noi abbiamo stimato, in maniera conservativa, ci dicono quindi che sarebbe assolutamente ragionevole considerare questo corpo idrico come una risorsa futura, anche se per parlare esattamente del tipo di uso che si potrebbe fare di queste acque o di quanti anni potrebbero effettivamente durare, serviranno studi di fattibilità e approfondimenti di tipo ingegneristico, che consentiranno di capire con quali costi e quali quantità potranno essere portate in superficie.
Sul possibile uso di queste acque, si è parlato anche di un interessamento da parte della regione Sicilia…
Sì, c’è stata un’interrogazione parlamentare, al quale il presidente della Regione Sicilia, Renato Schifani, ha risposto, spiegando che sarei stato invitato a Palermo, qualcosa che è effettivamente accaduto. Ho ricevuto l’invito formale da parte del capo della Protezione civile siciliana, l’ingegnere Salvo Cocina, che mi ha invitato ad illustrare i risultati dello studio e valutare l’opportunità di utilizzo di queste acque. L’incontro è stato positivo, ma ad oggi non ho avuto poi più alcun riscontro.
Come ricercatore dell’INGV e docente dell’Università Roma Tre mi fa molto piacere che i risultati di questa ricerca possano diventare utili, non dico a risolvere ma almeno a contribuire ad alleviare l’emergenza idrica in una regione come la Sicilia, che è stata colpita, anche quest’anno come spesso in passato, dall’emergenza siccità.