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Dopo un anno dal Covid-19 il cervello può apparire invecchiato di 20 anni: le prove di uno studio

Uno studio nel Regno Unito ha scoperto che nei pazienti che sono stati colpiti da forme gravi di Covid-19 il cervello può mostrare un invecchiamento simile a quello che ci si aspetterebbe in 20 anni già dopo un anno dall’infezione. Queste conseguenze neurologiche si manifestano con una perdita del volume cerebrale.
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Abbiamo conosciuto il Covid-19 come una malattia respiratoria, ma oggi, a distanza di anni dall'inizio della pandemia, sappiamo che il SARS-CoV-2 può avere conseguenze anche su altri organi del nostro corpo, tra cui il cervello. Lo dimostra il fatto che uno dei sintomi più spesso riferiti dalle persone colpite da Long Covid – qui vi lasciamo una scheda sui sintomi – è la cosiddetta nebbia mentale, una sensazione di scarsa concentrazione e confusione, anche nota come nebbia cerebrale cognitiva.

Ora uno dei più grandi studi condotti finora sugli effetti cerebrali a lungo termine del Covid-19 ha scoperto che nei casi di infezione più severi, si può manifestare una grave perdita delle funzioni cognitive, tanto che dopo circa un anno (12-18 mesi) dalla malattia il cervello appare invecchiato di venti anni.

Le conseguenze del Covid-19 sul cervello

Sebbene si tratti di conseguenze riscontrabili solo in una minoranza dei pazienti, questo studio, appena pubblicato su Nature, non solo ha confermato il possibile impatto del virus sulle funzioni cognitive, ha anche individuato due marcatori biologici che potrebbero in futuro renderlo misurabile: la perdita del volume cerebrale e la presenza nel sangue di livelli molto elevati di una proteina indice di lesioni cerebrali.

Lo studio in questione è il Covid-19 Clinical Neuroscience (COVID-CNS) ed è stato realizzato dai ricercatori dell'Università di Liverpool e del King's College di Londra. L'obiettivo era studiare gli effetti neurologici e neuropsichiatri acuti dovuti al Covid per scoprire i processi biologici che li innescano. Sebbene infatti complicazioni neurologiche o neuropsichiatriche riguardino circa il 20-30% dei pazienti ospedalizzati, "non è ancora chiaro – spiegano gli autori principali – se ci siano prove oggettive del deterioramento cognitivo e, qualora fosse così, se esistano prove biologiche delle lesioni cerebrali o se e in quanto tempo i pazienti potrebbero recuperare".

Il cervello appare invecchiato di venti anni

Per rispondere a queste domande i ricercatori hanno studiato il cervello di 351 pazienti che erano stati ricoverati a causa di una forma grave di infezione da Covid-19, alcuni con e altri senza complicazioni neurologiche. Hanno studiato lo stato delle loro condizioni cognitive e poi le hanno confrontate con quelli di un gruppo di controllo di 3.000 persone.

Dall'osservazione della riduzione del volume delle regioni cerebrali e la presenza dei biomarcatori che indicano la presenza di lesioni cerebrali, i ricercatori hanno potuto misurare nei pazienti – che si erano ammalati di Covid-19 circa un anno prima – deficit cognitivi simili a quelli che ci si aspetterebbe di trovare dopo un invecchiamento di 20 anni.

Questo deterioramento delle funzioni cognitive era presente sia nei pazienti che durante la malattia avevano avuto complicazioni neurologiche sia in quelli che non le avevano avute. Questo significa – spiegano gli autori – che il Covid-19 (chiaramente nei casi più gravi) può causare una compromissione cognitiva anche quando durante la fase acuta dell'infezione non è stata effettuata una diagnosi che attesti danni di questo tipo.

Da cosa è causato

Sebbene ancora non sia chiaro in che modo le infezioni acute di Covid-19 possano causare invecchiamento e deficit cognitivi, il fatto che questo studio abbia dimostrato che ci sono prove evidenti di questa associazione, come la riduzione del volume cerebrale, documentato dalle risonanze magnetiche, e la presenza nel sangue dei pazienti di biomarcatori che normalmente segnalano la presenza di lesioni cerebrali "indica che potrebbero esserci meccanismi biologici misurabili alla base di questo" deterioramento cognitivo. Un dato – si augurano i ricercatori – che potrebbe essere impiegato negli studi sul Long Covid e sulle cause di quei sintomi ancora non del tutto chiari come la nebbia mentale.

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