Delfino ucciso dall’influenza aviaria, il virus era diventato 18 volte più resistente ai farmaci
L’influenza aviaria H5N1, letale per milioni di volatili, continua a preoccupare per l’aumento di infezioni segnalate anche nei mammiferi, in particolare negli Stati Uniti, dove i ricercatori dell’Università della Florida hanno scoperto il primo caso in un delfino. Dopo l’allarme scattato per la recete diffusione del patogeno tra le mucche da latte in Texas e Kansas, il virus dell’influenza aviaria è stato trovato nel cervello e altri campioni di tessuto del cetaceo durante un esame post-mortem.
Il delfino, ancora vivo, era stato individuato tra una diga e un pilone portuale a Horseshoe Beach, una città nel sud della contea di Dixie, in Florida, ma nonostante gli inziali sforzi per toglierlo dalla situazione di pericolo, il delfino è morto poco prima dell’arrivo degli operatori del Marine Animal Rescue Program. Il rapporto del caso, dettagliato in un articolo appena pubblicato sulla rivista Communications Biology, aggiunge i delfini tra le specie di mammiferi minacciate dal virus, che ha già causato la morte di milioni di uccelli selvatici, l’uccisione di mezzo miliardo di volatili d’allevamento e fatto registrare, sempre più frequentemente, infezioni letali nei mammiferi, sia terrestri che marini.
Delfino ucciso dall’influenza aviaria in Florida
La preoccupante scoperta del primo caso di influenza aviaria in un delfino (tursiops truncatus) in Nord America è stata segnalata dal laboratorio di medicina zoologica dell’Università della Florida e confermata dal National Veterinary Services Laboratory di Ames, a Iowa, che ha caratterizzato il sottotipo e il patotipo del virus.
Le analisi dei campioni di tessuto del cetaceo hanno indicato che l’esemplare aveva un’infezione da virus H5N1 della clade 2.3.4.4b, lo stesso sottotipo di virus dell’influenza aviaria ad alta patogenicità (HPAI) che dal 2021 circola in Nord America, dove ha colpito numerose specie di uccelli e mammiferi negli Stati Uniti. Il virus, hanno spiegato gli studiosi, è stato rilevato sia nei polmoni sia nei tessuti cerebrali del delfino, con il cervello che presentava la più alta carica virale. Sempre a livello del cervello, state riscontrate necrosi neuronali e infiammazioni cerebrali e delle meningi.
Il sequenziamento del virus ha inoltre indicato la presenza di mutazioni associate all’adattamento del patogeno ai mammiferi e una ridotta sensibilità all’oseltamivir, un farmaco antivirale utilizzato per trattare e prevenire l’influenza A e l'influenza B nell’uomo. “La sensibilità all’oseltamivir del virus isolato nel delfino – hanno precisato gli autori del rapporto – è risultata essere 18 volte inferiore rispetto a quella dei corrispondenti virus di influenza aviaria”.
Ciò significa che il virus trovato nei campioni di tessuto del delfino era mutato fino a diventare 18 volte più resistente agli attuali trattamenti farmacologici per l’influenza, sottolineando l’importanza del monitoraggio di questi ceppi e il rischio derivante dalla loro diffusione. Ciò che, tuttavia, non è ancora noto è come il delfino abbia contratto l’infezione, in quanto i primi esami comparativi con i virus rilevati negli uccelli marini uccisi dall’infezione, tra Horseshoe Beach e la foce del fiume Suwannee (dove è stato trovato il delfino), sembrano escludere che quei patogeni dei volatili fossero precursori diretti.
“Non sappiamo ancora come il delfino abbia preso il virus e sono necessarie ulteriori ricerche – ha precisato l’autore corrispondente dell’articolo, il dottor Richard Webby del Centro di collaborazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per gli studi sull’ecologia dell’influenza negli animali e negli uccelli – . Sono inoltre necessarie ulteriori ricerche per determinare come il virus si sia diffuso al sistema nervoso centrale in questo delfino”.