Danni multipli agli organi nei pazienti con Long Covid: lo dimostrano le risonanze magnetiche
Le persone ricoverate a causa della COVID-19 (la malattia provocata dal coronavirus SARS-CoV-2) e che hanno avuto sintomi persistenti dopo l'infezione – anche per mesi – presentano un rischio elevato di danni multiorgano. In altri termini, chi è finito in ospedale per la fase acuta dell'infezione e ha sofferto (o soffre) di Long Covid ha probabilità sensibilmente superiori di avere anomalie a più organi, come polmoni, reni e cervello. È quanto emerso da un nuovo approfondito studio che ha analizzato le conseguenze del Covid Lungo, conosciuto anche come sindrome post-COVID-19 o postumi della COVID-19 a lungo termine. Si tratta di un insieme di sintomi – dalla famigerata nebbia cerebrale all'affaticamento – che può perdurare anche anni nei casi più gravi, in grado di compromettere la qualità della vita e costringere i pazienti a lasciare il lavoro, la scuola e l'attività sportiva, come nel caso della tennista Tanysha Dissanayake, obbligata al ritiro.
A condurre lo studio è stato un team di ricerca britannico guidato da scienziati di due progetti distinti, il C-MORE legato alle risonanze magnetiche e il Post-hospitalisation COVID-19 study (PHOSP-COVID), rivolto a pazienti dimessi dall'ospedale dopo un ricovero per Covid. In tutto sono stati coinvolti 531 pazienti del primo studio e 2710 del secondo. I ricercatori, coordinati dalla professoressa Betty Raman, hanno escluso dalla ricerca i soggetti con insufficienza renale allo stadio terminale o con controindicazioni alla risonanza magnetica; l'indagine statistica è stata effettuata su 259 pazienti con età media 57 anni (61 percento maschi e 39 percento femmine) che avevano ricevuto un tampone positivo per Covid tra il primo marzo del 2020 e il primo novembre 2021. Le loro condizioni cliniche sono state messe a confronto con quelle di 52 persone del gruppo di controllo, che non avevano avuto la COVID-19 (nessuna risposta anticorpale alla proteina nucleocapside). Tutti sono stati sottoposti a risonanze magnetiche per confrontare lo stato di salute degli organi.
Dalle indagini iniziali è innanzitutto emerso che i pazienti che avevano avuto la COVID “erano più anziani, avevano una maggiore obesità e più comorbilità (patologie sottostanti NDR)”, hanno scritto la professoressa Raman e i colleghi. Dal confronto tra le risonanze magnetiche, eseguite a 5 mesi di distanza dalle dimissioni e condotte su vari organi, è apparso evidente che il gruppo COVID aveva una probabilità molto maggiore di presentare danni multiorgano. Più nello specifico, le anomalie erano presenti nel 61 percento dei partecipanti del gruppo COVID e nel 27 percento in quello di controllo, pertanto l'incidenza risulta circa tripla. Le lesioni ai polmoni erano le più frequenti, ben 14 volte più probabili nel primo gruppo, mentre quelle a cervello e reni erano rispettivamente 3 e 2 volte più probabili. Le anomalie cardiache ed epatiche risultavano invece simili tra i due gruppi.
Come affermato dall'autrice principale dello studio a SkyNews, i pazienti Covid con lesioni in più di due organi presentavano “probabilità quattro volte superiori di riportare danni mentali e fisici gravi e molto gravi”. Gli estesi danni provocati all'organismo dal coronavirus SARS-CoV-2 (emerso in Cina alla fine del 2019) ha fatto chiedere ad alcuni esperti se sia ancora giusto definire il patogeno pandemico un “virus respiratorio”, dato che i problemi vanno ben al di là dei polmoni e delle vie aeree. I ricercatori devono ancora comprendere a fondo come il patogeno riesca a danneggiare così in profondità l'organismo e grazie a studi come questo si spera di mettere a punto trattamenti più efficaci, così come adeguate strategie di assistenza a lungo termine, anche psicologica. Fondamentale l'uso delle tecniche di imaging per valutare il decorso dei pazientianche mesi dopo le dimissioni. I dettagli della ricerca “Multiorgan MRI findings after hospitalisation with COVID-19 in the UK (C-MORE): a prospective, multicentre, observational cohort study” sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista scientifica The Lancet Respiratory Medicine.