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Terremoto in Turchia e Siria

“Danni enormi, frane e tsunami”: gli effetti sull’Italia di un terremoto come quello in Turchia

Cosa accadrebbe se l’Italia venisse colpita da un terremoto di magnitudo paragonabile a quella del sisma che ha investito la Turchia? Lo abbiamo chiesto al sismologo Guido Ventura dell’INGV. Ecco le sue risposte.
Intervista a Dott. Guido Ventura
Primo Ricercatore dell'INGV e associato del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR)
A cura di Andrea Centini
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Credit: Google
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Alle 02:17 ora italiana di lunedì 6 febbraio la Turchia è stata colpita da un devastante terremoto di magnitudo 7.8, con conseguenze catastrofiche anche nella vicina Siria. Nel momento in cui stiamo scrivendo tra i due Paesi si contano oltre 5.100 vittime, ma ci sono più di 5mila edifici crollati e moltissimi non sono stati ispezionati a fondo. C'è ancora un grande numero di persone sepolte sotto le macerie, secondo le stime. Si ipotizza che la conta finale di morti possa superare quota 20mila, ma al momento è ancora troppo presto per avere dati precisi. Ciò che è certo è che si è trattato di uno degli eventi sismici più devastanti degli ultimi decenni, in termini di danni e vite strappate. Ma cosa accadrebbe se anche l'Italia venisse colpita da un terremoto di questa magnitudo? Lo abbiamo chiesto al dottor Guido Ventura, Primo Ricercatore dell'INGV e associato del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). Ecco le sue risposte.

Dottor Ventura, le chiediamo innanzitutto quali conseguenze avremmo in Italia se il nostro territorio venisse investito da un sisma energetico come quello verificatosi in Turchia 

Un terremoto di quella portata noi l'abbiamo avuto a Messina, come voi sapete nel 1908. Oltre a produrre danni enormi, con distruzione molto avanzata – se non totale – delle città di Reggio Calabria e Messina, ha anche innescato delle frane sottomarine, uno tsunami. Questi sono essenzialmente gli effetti di un terremoto di questa magnitudo in una zona come l'Italia. E soprattutto l'Italia meridionale, che appunto nella sua storia sismica ha avuto scosse di magnitudo comparabile a quella del terremoto in Turchia. Quindi danni notevoli, non solo alle zone urbane, ma a tutte le infrastrutture. Strade, ponti, elettrodotti, metanodotti, comunicazioni e chi più ne ha più ne metta. Questo è il quadro che si evince.

Quali sono le zone più a rischio nel nostro Paese? Per la Turchia e la Siria si è parlato molto della sicurezza antisismica di moltissimi edifici, praticamente assente

Noi siamo messi meglio, in generale. Il problema è che abbiamo un patrimonio storico e una parte rilevante dell'edificato che non è costruito con criteri antisismici. E questo semplicemente perché la maggior parte delle costruzioni è precedente alle leggi che sono state sviluppate negli ultimi anni, su quelli che sono i criteri di costruzione del rischio sismico. L'Italia è un Paese che purtroppo da questo punto di vista ha una storia millenaria. Molte delle costruzioni non sono antisismiche.

Metterle in sicurezza tutte è improponibile o si può fare qualcosa?

Ci sono diverse opinioni sull'argomento. È ovvio che l'obiettivo è quello di metterle in sicurezza. Però su quanto debba intervenire lo Stato e su quanto debba intervenire il privato è da vedere. Ci sono delle agevolazioni, però dal punto di vista sistematico il problema è aperto. Ma non è un problema italiano questo, è un problema di tutti i Paesi sismici.

Alla luce di queste premesse e del gran numero di edifici storici, se un terremoto come quello avuto in Turchia avesse un ipocentro sotto Roma, che effetto avrebbe? La devasterebbe?

Sì, sì. Anche se, devo dire la verità, Roma è una zona che pur risentendo degli effetti dei terremoti degli Appennini – ci sono testimonianze millenarie, anche al Colosseo per esempio -, però non è una zona da terremoti di quella magnitudo.

Qual è la frequenza in Italia di terremoti catastrofici come quello verificatosi nel 1908, che ebbe 125mila morti stimati? C'è una statistica per dire ogni quanti anni / secoli si verificano?

C'è una stima, che è attorno al secolo. Però è una stima relativa. Le probabilità che avvengano non sono elevatissime. Potrebbe essere un secolo +/- un secolo. Quindi di fatto quelli che sono i tempi di ritorno non sono definiti benissimo. Vuoi perché il fenomeno naturale in sé, se ha una ricorrenza, non è una ricorrenza matematica, quindi presenta una variabilità estrema. È ovvio che in termini di difesa del territorio non dobbiamo pensare in termini di ricorrenza, ma dobbiamo pensare in termini di accelerazione massima attesa.

Se dovesse ripresentarsi un terremoto della portata di quello di Messina, dove pensa potrebbe verificarsi?

Sicuramente l'Italia meridionale è una delle nostre zone a più elevato rischio. Ma anche l'Italia settentrionale ha dato in tempi storici dei terremoti molto forti. Il record che abbiamo noi è a sfavore dell'Italia meridionale.

Se non ricordo male il più violento che abbiamo avuto è stato in Val di Noto (in Sicilia) nel 1693

Sì, ma siamo lontani dal 7.8 della Turchia, in termini di energia rilasciata. Il problema nostro è che anche terremoti di magnitudo non elevata come quello avvenuto in Turchia, quindi di magnitudo 5 o di magnitudo 6, in Italia possono produrre danni notevoli. La storia recente de L'Aquila, di Amatrice etc etc ce lo insegna. Per non parlare dell'Irpinia, del Belice o del Friuli.

E dove ritiene che un terremoto del genere possa fare più danni in assoluto nel nostro Paese? Qual è la zona più esposta?

Il problema dei danni è un problema di rapporto fra l'energia dell'evento dove avviene e l'esposizione. Cioè quanto quella zona è abitata, quali infrastrutture ci sono etc etc. È un doppio binario. Un terremoto come quello in Turchia in Antartide avrebbe effetti nulli. È il valore esposto che dà di fatto la potenzialità del danno.

Comunque si può stare relativamente tranquilli perché si tratta di fenomeni rari

Sono più rari, sì. In genere c'è una relazione inversa tra il numero di terremoti in un certo intervallo di tempo e l'energia rilasciata. Quindi sono pochi quelli a energia piuttosto elevata. Sono molto più frequenti quelli a energia più bassa. Noi in Italia registriamo scosse di magnitudo 1 e 2 tutti i giorni.

Si sente spesso parlare dei vulcani sottomarini lungo le coste dell'Italia, considerati come una grossa minaccia. Anche questi potrebbero portare a terremoti molto energetici?

No, non in questo senso. La pericolosità dei vulcani sottomarini è essenzialmente legata al fatto che possono esserci degli tsunami. Innescati dalle eruzioni, dall'instabilità dei versati, dai terremoti che avvengono anche a terra. Noi abbiamo studiato a fondo i due vulcani sottomarini più grandi dell'area tirrenica, che sono il Palinuro e il Marsili. Sono lunghi una settantina di chilometri. Effettivamente segni di grossi eventi franosi non ce ne sono. Anche se non possiamo escludere a priori che possano avvenire nel futuro. Sono vulcani che comunque in questo senso andrebbero monitorati.

Ci sono abbastanza fondi per fare questi controlli?

Il monitoraggio sui vulcani ad alta pericolosità, che sono essenzialmente Vesuvio e Campi Flegrei, e in minor misura Etna e Stromboli, è fatto molto bene. Per quelli sottomarini ovviamente i costi sono enormi proprio perché si trovano in mare. Lei si immagini che un giorno con una nave oceanografica costa 15mila Euro. Si fanno delle campagne di studio ogni 2 – 3 anni perché ne sappiamo poco. Facciamo anche un upgrade di quello che è il monitoraggio, ci rendiamo conto se ci sono state delle variazioni rispetto alle campagne precedenti e cose del genere.

Recentemente è stata scoperta una nuova camera magmatica sotto a un vulcano sottomarino nei pressi dell'isola di Santorini e si teme possa eruttare. Sono state pertanto attivate tutta una serie di procedure. Una cosa del genere potrebbe essere scoperta anche da noi?

Sì, ma devo dire che la situazione è diversa rispetto a Santorini. Santorini ha dato eruzioni e tsunami di una certa entità, mentre i nostri vulcani sottomarini per ora non hanno dato manifestazioni di questo genere. Questo ovviamente non esclude che possa accadere.

Dal punto di vista della previsione dei terremoti sono stati fatti dei passi avanti? Oppure siamo sempre innanzi a fenomeni imprevedibili?

Qui bisogna essere molto chiari. Il discorso della previsione vuol dire stabilire dove – cioè in che zona – e quanto energetico. E ovviamente fare una stima del valore esposto. Ora quello che noi non possiamo fare è prevedere quando accadrà. Questo ancora non lo possiamo fare. Però noi sappiamo che ormai è ufficializzata una carta di esposizione, di rischio essenzialmente. Sappiamo quali sono le zone dove le accelerazioni sono tali da poter produrre delle distruzioni sul territorio. C'è una zonazione del territorio nazionale che è basata su moltissimi fattori. Sullo studio dei terremoti storici, sullo studio della sismicità attuale, sullo studio delle faglie – cioè delle fratture che sono sulla crosta -. Quindi in termini probabilistici noi abbiamo una zonazione sismica del territorio. Questo è stato un enorme passo avanti. Non sappiamo dove si verificherà il prossimo terremoto, ma sappiamo che tale zona è sposta a questo tipo di rischio e ne conosciamo l'entità.

E se le chiedessi qual è quella più a rischio in questo momento?

Non lo possiamo dire in termini temporali. Sappiamo che la zona del Friuli, tutti gli Appennini centrali e meridionali e la zona dell'Italia meridionale sono zone ad alto rischio sismico.

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